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Cronache
Lo Stato è incapace di gestire i beni confiscati. I buchi del codice antimafia

Il primo problema è che le istituzioni menzionate, secondo Rossi, non sono attrezzate sulle procedure legate alla gestione delle attività economiche in amministrazione giudiziaria. “All’Agenzia delle Entrate non esiste proprio la categoria – spiega – Il provvedimento è trascritto ma lo Stato collega tutte le attività alla persona fisica dell’amministratore e al suo codice fiscale, non a quello dell’impresa. A quel codice fiscale vengono ricondotti tutti i debiti delle società da lui amministrate”.

Rossi racconta di aver ritrovato “agganciate al mio codice fiscale anche procedure vecchie su aziende sottoposte a misure di prevenzione e poi restituite al titolare. Per esempio, ho gestito una ditta individuale dal 2015 al 2019 e nel 2018 ho ricevuto una richiesta delle Entrate di 5mila euro. Alla fine, se l’Ade continuerà a non rettificare, ci rimetterò circa 6mila euro. E pensare che in più di 30 anni di attività non mi è mai fallita un’impresa”.

Rossi, che è pure docente a contratto presso l’ateneo telematico Niccolò Cusano, nel 2018 riceve in gestione una Srl del casertano impegnata nella fornitura di servizi. La amministra per meno di anno e poi la restituisce al tribunale, attiva e con circa 100 dipendenti. “Entro quindi nel mio cassetto fiscale e trovo una serie di cartelle Inps e Inail su vicende di evasione contributiva addirittura precedenti al periodo di amministrazione giudiziaria”, ricorda la professionista.

I debiti complessivi ammontano a circa 50mila euro. Poi, nel 2022, arrivano ulteriori atti ispettivi dell’Ispettorato del lavoro di Caserta che contestano altre violazioni: considerando pure le spese legali per difendersi, si tratta di altri 10mila euro di esborsi. “E nell’attesa che io abbia ragione in sede di contenzioso civile – aggiunge Rossi – lo Stato interroga Inps ed Entrate per sapere se sono regolare e intanto pignora i miei compensi”.

Sarebbe troppo lunga da raccontare per intero la via crucis finanziaria e legale vissuta dall’amministratrice giudiziaria romana. Si era vista addebitare persino delle esposizioni contratte da società decotte di cui lei era stata curatrice fallimentare. E alla fine ha accumulato compensi non riscossi dal tribunale per circa 100mila euro, oltre ad aver fatto un decreto ingiuntivo esecutivo nei confronti dell’Agenzia beni confiscati per 104mila euro.

“Qualcosa sono riuscita nel frattempo a intascare, ma ho dovuto fare i salti mortali per tirare avanti, colpevole solo di aver fatto il mio lavoro. L’Agenzia beni confiscati mi sta mettendo i bastoni tra le ruote, nonostante la mia professionalità sia stata sempre apprezzata dai giudici”, confessa. Rossi nel frattempo ha scritto a tutte le istituzioni coinvolte e ha segnalato il suo caso alla presidenza del Consiglio, al Viminale e al ministero della Giustizia, oltre che naturalmente all’Anbsc, che è vigilata dallo stesso dicastero dell’Interno.

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