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Cronache
Mafia Capitale, l'ex assessore Varvazzo: "Mai indagata, pagate colpe non mie"
Paola Varvazzo

“Ho pagato un prezzo molto alto per questa storia e non sono mai stata indagata. Ed è stata anche archiviata con formula piena dal G.I.P.  una successiva denuncia per diffamazione che mi aveva visto finire in mezzo, ingiustamente, nella querelle tra Buzzi e l’ex presidente di sezione del Tar del Lazio Sandulli. Purtroppo, invece, il mio nome viene a tutt’oggi accostato a ‘mafia capitale’ o in maniera negativa alla Giunta Zingaretti e questo continua a crearmi, nella vita come nella professione, un sacco di problemi”.

A parlare così, in esclusiva per Affaritaliani.it, è Paola Varvazzo, vice prefetto attualmente in servizio presso il Viminale ed ex assessore alle politiche sociali della giunta Zingaretti, dimessasi il 5 aprile 2013 dopo appena 2 settimane di incarico apparentemente a causa dell’iscrizione nel registro degli indagati del marito Marzio Micucci, funzionario dell’ufficio delle dogane. Micucci avrebbe chiesto, senza tuttavia riceverla, una tangente per sollecitare alcuni uffici regionali a pagare rapidamente delle fatture relative a crediti vantati da un’azienda presso la pubblica amministrazione.

Vice Prefetto Varvazzo, lei non è stata indagata, ma l’indagine su suo marito ha determinato le dimissioni dalla giunta Zingaretti. Non è così?

“No, non è così. Quella notizia, battuta dall’Ansa il 5 aprile 2013, era relativa ad un fatto non nuovo riguardante mio marito. Una vicenda di 8 mesi prima, ‘casualmente’ emersa in quel periodo. Qualcuno, evidentemente, l’aveva fatta arrivare alle agenzie. Si tratta di una vicenda personale e assolutamente privata che riguarda mio marito, per altro poco tempo dopo la divulgazione il reato è stato derubricato da corruzione a millantato credito. L’iter giudiziario è ancora in corso e spero possa chiudersi presto e bene”.

Ma lei si è dimessa esattamente il 5 aprile 2013.

“Avevo già intenzione di dimettermi perché, in appena 2 settimane dalla nomina, mi ero resa conto che quell’incarico non faceva per me. Aver reso la ‘vecchia’ vicenda di mio marito di dominio pubblico è servito solo per infangare le mie dimissioni”.

Ammetterà che la ‘coincidenza’ non appare casuale agli occhi dei più.

“Lo capisco. Ho dato certamente le dimissioni in quella occasione, ma sulla base di motivazioni di ben altra natura: la consapevolezza di non poter lavorare serenamente e secondo un programma fondato su criteri di correttezza istituzionale, trasparenza e equità”.

Lei sta lanciando delle accuse.

“No, io mi attengo ai fatti. In occasione della formazione della giunta Zingaretti mi fu paventata da rappresentanti del mondo cattolico, in ragione dell’impegno istituzionale da sempre profuso per i diritti civili e gli immigrati, la possibilità di poter ampliare la mia esperienza come assessore regionale alle politiche sociali. Non conoscevo Zingaretti, ma da amici comuni ebbi riscontro della sua volontà di cambiamento. Accettai così l’incarico”.

Poi cosa è successo?

“Sa, un dirigente prefettizio è abituato a lavorare nell’ombra e soprattutto è abituato a lavorare coi fatti. La mia nomina, improvvisa anche per me, suscitò non poche invidie, soprattutto in qualche collega ora prefetto che, evidentemente, puntava ad avere lo stesso incarico. E sono convinta che la ‘riesumazione’ della notizia di mio marito nasca da questi ambienti. Non solo. Come assessore non fui libera di scegliere i miei collaboratori, soprattutto il capo di gabinetto. Non era un problema di qualità delle persone, ma di fiducia. Non volevo uomini di partito attorno a me, ma gente seria e di esperienza”.

Si è dimessa per questo?

“Hanno capito che ero poco malleabile e questo a qualcuno deve aver dato fastidio. Forse c’era chi riteneva che pur di rimanere assessore avrei accettato compromessi. Hanno fatto male i loro conti. Certo è che le mie dimissioni a pochi giorni dalla nomina avrebbero creato sicuramente un problema politico. La notizia relativa a mio marito ha ‘sistemato’ le cose, facendomi finire sulla graticola”.

Ci racconti quei giorni.

“Le mie dimissioni furono subito accettate da Zingaretti come atto dovuto in una logica di trasparenza e massima correttezza istituzionale. Non ero indagata, ma fui trattata come tale, anzi peggio. Un mese dopo la mia vicenda fu rinviata a giudizio per reati ambientali, come tutti sanno, l’assessore regionale all’agricoltura Sonia Ricci. L’atteggiamento del presidente della Regione Lazio nei suoi confronti è stato molto diverso, tanto che lei ha lasciato l’incarico solo dopo 3 anni”.

Nel dicembre 2014, però, il suo nome è venuto fuori nell’ambito di ‘mafia capitale’.

“E voglio dire subito che non sono mai stata indagata. Mi attengo ai fatti. Come ex dirigente dell’Area IV della Prefettura di Roma e con molta esperienza nella gestione dei Cara e dei Cie, Buzzi mi fu presentato come noto imprenditore che operava da tempo nel sociale, frequentatore di influenti personalità del mondo politico e non. Buzzi al tempo si era aggiudicato, attraverso una gara bandita dalla Prefettura di Roma, la gestione del Cara di Castelnuovo di Porto e ritenne il mio contributo utile per acquisire informazioni sul funzionamento della struttura”.

Lei fece a Buzzi il nome del giudice Tar Linda Sandulli?

“Buzzi mi fece dei riferimenti a Sandulli e a lui consegnai la copia di un atto pubblico ricevuto, al di fuori dell’attività istituzionale, in occasione di uno sfogo da parte di altro imprenditore: si trattava di copia di una visura camerale, dalla quale emergeva che il giudice era proprietaria assieme al marito della quota di maggioranza di una società che lavorava presso il Cara di Castelnuovo e sulle cui vicende giudiziarie la stessa Sandulli era stata chiamata diverse volte a decidere. Non sono mai stata la ‘spia della cupola’, non ho mai fatto dossieraggio. Questa storia l’ho raccontata anche al programma Report. Da qui sono finita in mezzo alla denuncia per diffamazione contro Buzzi fatta da Sandulli e per la quale, ripeto, il G.I.P. ha disposto l'archiviazione con formula piena".

Concludendo, lei pensa di non aver commesso alcun errore?

“Sono stata ingenua, questo me lo riconosco. Buzzi mi è stato presentato come un noto imprenditore stimato da tutti e avrei dovuto probabilmente approfondire meglio il suo ruolo, anche se non so neanche bene come visto che lui era per me uno dei tanti imprenditori accreditati presso la prefettura di Roma,  che operavano nel settore dell’immigrazione. Quando mi è stato proposto di fare l’assessore, dovevo forse comprendere che la politica, con le sue trame e i suoi compromessi, non fa certo per una persona come me abituata a lavorare con onestà e serietà e nell’ombra. Sono una donna di 51 anni, coniugata e madre di 2 splendidi figli maschi. Mi sono sempre divisa, come tante donne, tra responsabilità familiari e impegni lavorativi con sacrificio e abnegazione. A distanza di tanti anni questa infamante ‘lettera scarlatta’ rimane ancora sulla mia persona, nonostante - voglio ribadirlo ancora una volta - nessun magistrato mi abbia mai chiamato a rispondere di alcunché, neppure come persona informata sui fatti, visto che la mia presenza in aula nel corso del processo per ‘mafia capitale’ è stata disposta esclusivamente come teste. Spero che l’incubo prima o poi finisca ed io possa vedermi restituiti la dignità ed il rispetto che merito e che mi spettano”.

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