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Cronache
Migranti: Cassazione, il condannato può restare se ha un figlio in Italia

Non è automatica l'espulsione di uno straniero condannato in sede penale se ha un figlio minorenne che vive nel nostro Paese. Le sezioni unite civili della Cassazione, con una sentenza depositata oggi, hanno accolto il ricorso di una coppia di genitori albanesi, i quali si erano visti negare l'autorizzazione a restare in Italia, dove vivono i figli minori, perché questa era stata dichiarata incompatibile dalla Corte d'appello de L'Aquila, sezione minorenni, con la "gravità" delle condotte - legate a spaccio di droga - per cui il papà era finito due volte agli arresti.

"In tema di autorizzazione all'ingresso o alla permanenza in Italia del familiare di minore straniero che si trova nel territorio italiano - è il principio di diritto sancito dai giudici di piazza Cavour - il diniego non può essere fatto derivare automaticamente dalla pronuncia di condanna" per uno dei reati che il Testo unico sull'immigrazione (dlgs 286/1998) "considera ostativi all'ingresso o al soggiorno dello straniero".

Tale condanna, infatti, "è destinata a rilevare - si legge ancora nella sentenza - al pari delle attività incompatibili con la permanenza in Italia, in quanto suscettibile di costituire una minaccia concreta e attuale per l'ordine pubblico o la sicurezza nazionale, e può condurre al rigetto dell'istanza di autorizzazione all'esito di un esame circostanziato del caso e di un bilanciamento con l'interesse del minore" a cui la legge "in presenza di gravi motivi connessi con il suo sviluppo psicofisico, attribuisce valore prioritario, ma non assoluto".

Nel caso in esame, che dovrà essere rivalutato dalla Corte d'appello de L'Aquila, "è mancato lo svolgimento - osserva quindi la Cassazione - a ridosso di un esame concreto di tutte le componenti del caso, di un giudizio di bilanciamento tra l'interesse statuale alla tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza nazionale e le esigenze dei minori", poichè la valutazione "negativa" dei giudici abruzzesi, nel procedimento di secondo grado, è stata "incentrata pressoché esclusivamente sulla condotta del padre".

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