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Cronache
Salvini e il blocco dei porti: basta parlare di diritto internazionale
Foto LaPresse

Quand’ero giovane mi insegnarono a disistimare Nietzsche. A considerarlo un pazzo e perfino un nazista. Quando poi lessi un suo libro, il giudizio si ribaltò totalmente. Nietzsche è stato una delle persone più intelligenti che abbia prodotto l’Occidente.

Ma il quadro ha delle ombre. Nietzsche rimane effettivamente uno degli autori più intelligenti, ma è come i fichidindia, i funghi e gli astici. Ottimi, ma per i primi bisogna evitare le spine, per i secondi il veleno, e per affrontare i terzi bisogna munirsi di robusti schiaccianoci. Insomma ci sono affermazioni di Nietzsche che sfiorano il delirio e il ridicolo, e sarebbe facile compilare un’antologia con le stupidaggini che ha scritto. Ma sarebbe un’operazione sciocca, sciocca quanto mangiare volontariamente dei funghi avvelenati quando accanto ci sono quelli buoni.

Per Matteo Salvini è lo stesso. Ho tendenza a considerarlo rozzo e brutale, un demagogo e un arruffapopolo, ma sarebbe assurdo giudicare invariabilmente giusto o invariabilmente sbagliato tutto ciò che dice. E per quanto riguarda la chiusura dei porti italiani agli immigranti, bisogna ragionare senza pregiudizi.

Il primo problema è giuridico. Molti si chiedono se quella decisione sia conforme al diritto internazionale. Ed è una domanda futile. Il diritto internazionale è “diritto” fino ad un certo punto. Immaginiamo quattro cowboy e un pistolero che giocano a poker. Ad un certo momento il pistolero minaccia tutti con la Colt, raccoglie il denaro e se ne va; ma lo sceriffo l’arresta e gli fa perfino restituire i soldi. Ebbene, il momento in cui tutti osservano le regole del gioco configura la situazione del diritto internazionale. La rapina corrisponde alla situazione in cui uno Stato impone la propria volontà ad un altro Stato, con la forza. Per esempio, la Russia che si annette la Crimea. Infine, con l’arresto assistiamo all’applicazione della legge all’interno di uno Stato ma, appunto, questo è un fenomeno che non si verifica mai in ambito internazionale, dove manca lo sceriffo e il più forte prevale.

Il diritto internazionale dunque non è un diritto come gli altri, perché non c’è un’autorità superiore che lo applichi. Somiglia alle regole del gioco, che valgono finché gli interessati le seguono. E chi le viola deve soltanto chiedersi se è abbastanza forte per resistere alla reazione altrui.

Chi vuole obiettare alla decisione di Salvini non deve parlare di violazione del diritto internazionale, ma soltanto delle eventuali conseguenze negative per l’Italia. Se ci sono, valutiamole; se non ci sono, smettiamo di parlare di diritto internazionale.

Neanche gli accordi liberamente sottoscritti valgono molto. L’Unione Europea aveva deciso la suddivisione degli immigrati per quote e parecchi Paesi firmatari all’atto pratico hanno detto “no”. Risulta che siano stati sculacciati?

Si dice ancora: a parte il diritto internazionale, esiste ab immemorabili l’universale “legge del mare”. Tutti abbiamo il dovere di salvare chi è in pericolo. Giusto. Ma bisogna distinguere. La consuetudine vuole che i naufraghi siano soccorsi e sbarcati nel porto più vicino. Ma naufrago è chi si trova in un pericolo imprevisto e in cui non si è messo volontariamente. Viceversa, chi cominciasse la traversata dell’Atlantico in una barca a remi, da solo, senza viveri e senz’acqua, non sarebbe un naufrago: sarebbe un suicida. E i migranti che affrontano il Mediterraneo a cavallo dei bordi di un gommone non sono naufraghi, sono viaggiatori in attesa di trasbordo. Li si potrà certo soccorrere, ma non in quanto naufraghi.

I migranti vanno poi sbarcati nel porto più vicino. Perché le navi normali non sono in mare per soccorrere naufraghi. Se deviano dalla rotta prevista, deve essere per il minimo tempo e con la minima spesa.

Ma, dicono i “competenti”, le convenzioni parlano di un “porto sicuro”. E anche qui bisogna intendersi. Se sono le convenzioni internazionali, che richiedono il porto sia “sicuro”, bisogna distinguere. Se per “porto sicuro” si intende un porto in cui si possa sbarcare senza pericolo, il conto è uno; se invece si vuole che in quella città viga la democrazia, ci siano buoni ospedali, e che gli sfortunati siano trattati bene, il conto è un altro. Nel secondo la richiesta sarebbe assurda. Se il porto più vicino è in Libia, e all’immigrato la Libia non piace, basterà ricordargli che viene proprio da lì. Magari dicendogli: “Rischiavi di morire in mare, ti ho portato sulla terraferma, dimmi grazie e vado via”. La legge del mare non impone affatto di portare la persona nel porto che desidera. Nemmeno i viaggiatori paganti hanno questo diritto.

Quanto al diritto d’asilo, quando ne ricorrono le condizioni esso va concesso allo straniero che sia già sul suolo italiano, non a quello che si trova in acque internazionali e che qualcuno è andato a cercare. Fra l’altro, se costui è così pietoso, perché non glielo concede lui, l’asilo?

Rimane il punto morale. Chiede qualcuno: come non avere pietà di queste folle di disperati in cerca di una vita migliore? Possente argomento. Se i disperati fossero mille, e non li soccorressimo, non avremmo un cuore. Ma se fossero venti milioni non avremmo lo spazio. Possiamo ospitare una quantità indeterminata di immigranti? Sicuramente no. E infatti la Francia, l’Austria, l’Ungheria ed altri Paesi hanno chiuso le frontiere. Sono tutti immorali? Smettiamola con queste esagerazioni.

Ci sono poi i problemi sociali. Per il lavoro, basta dire che abbiamo una disoccupazione altissima. Quanto all’assimilabilità, mentre non ci sono difficoltà per i bianchi cristiani (per esempio i rumeni) per i musulmani ci sono ostacoli seri. Come provano le esperienze francesi o inglesi, essi rimangono a parte, a volte in quartieri in cui riproducono il loro mondo. La Francia ha accolto queste persone offrendo loro la nazionalità e la parità con tutti gli altri cittadini, e tuttavia (salvo eccezioni) essi si sentono più musulmani che francesi, anche dopo qualche generazione. È una ferita che non si rimargina. Chi non ci crede è come se dicesse che la Loira non passa da Tours, e si ha voglia di rispondere: “Vacci”.

Forse sarebbe meglio tenerne conto.

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