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Cronache
Moro, Valerio Morucci in Commissione. Dal covo spunta una lista di 90 nomi

Di Stefania Limiti

Arriva un po’ di fermento alla Commissione Moro, in una gelida serata di gennaio. C’è l’audizione di Valerio Morucci, l’ora è tarda, le attese molte. Arrestato nel maggio del ‘79 nell’appartamento in viale Giulio Cesare di proprietà di Giuliana Conforto, dirigente della  colonna romana delle Br ed esponente del gruppo di fuoco di via Fani, Valerio Morucci è stato il grande artefice della verità “concordata” dei 55 giorni, quella patteggiata nelle stanze del carcere di Paliano, poi suggellata nel Memoriale tanto famoso di nome quanto poco attendibile nella sua versione dei fatti, sottoscritta anche dal capo dei capi, Mario Moretti. Una trattativa, secondo quanto si apprende da autorevoli fonti della Commissione, subentrata solo in un secondo tempo, perché prima dell’arresto, Morucci pare stesse negoziando ben altro.

Tra gli sberleffi inattesi e irriguardosi da parte di un ex che ha mantenuto tutto il carico emotivo di un capo potente affascinato dalle armi e dal potere, durante l’audizione spunta in effetti una lista di nomi, un elenco  di circa 90 persone, nomi in codice ed indirizzi di brigatisti noti (tra cui quello di Moretti) e di persone contigue all’area sovversiva. “Può spiegarci che ci faceva questo elenco nell’appartamento che ospitava lei e la signora Faranda?”. Morucci vacilla, si capisce che il colpo è basso, nega che quei fogli siano suoi, dice addirittura di non conoscerne l'esistenza mentre sono allegati, come corpi di reato, all'ordinanza del suo arresto. Dice di non averli mai visti e che forse erano nell'appartamento di Conforto, ma non suoi. “Non gradisco presidente”. Quasi insinua che qualcuno li abbi tirati fuori provocatoriamente.

E’ il capo militare di Potere operaio, il responsabile logistico delle Brigate rosse, e non l’ex brigatista pentito, che si presenta davanti all’organismo parlamentare per prender parte ad una audizione che si svolge in modo quasi surreale, in un clima di tensione altissima, a riprova che il tempo passato non riduce l’impatto dei 55 giorni sulla nostra storia. I commissari si guardano un po’ stonati, di certo non è stato fatto alcun lavoro preparatorio: "Non ho ricevuto alcuna convocazione formale - premette Morucci - non so in quale forma sia stato chiamato qui. Difficile che io possa dirvi cose nuove”. Disorientamento e stupore serpeggiano in Aula, ma è ancora niente rispetto a quello che sta per accadere e che dà al presidente Fioroni l’opportunità di esercitare le sue note doti di tolleranza continuando a fare domande ad un interlocutore indisponibile, seccato, infastidito, sdegnato: “presidente non gradisco questa domanda”, “state perdendo il vostro tempo”, “ho già detto, andatevi a leggere le carte”, “non rispondo a domande inquisitorie”, “non conoscete la storia delle Brigate rosse, voi non andrete da nessuna parte”. E giù così, anche peggio: "Sono cose risapute, dette e ridette. Se interrogate i muri della palestra del Foro Italico ve le  racconteranno anche loro”, “siete politici, non investigatori”, cioè gli dice che non hanno titolo a parlare, chi pensate di essere!

Ma anche quando Fioroni lo incalza su quella lista e sull’Autosalone (AutoCia) che forniva documenti di copertura alle Br, Morucci si innervosisce molto: gli si chiede conto del foglio di via, dell'assicurazione e del bollo dell'auto Fiat con la quale viene portato via Moro, tagliandi falsi che provengono dal Salone Autocia di Roma, dove Morucci si reca spesso, conosce bene i suoi gestori, lì Faranda ha acquistato un’automobile. Le ricerche della Commissione hanno ormai accertato che quell’autosalone era legato alla Banda della Magliana, svolge una funzione di sostegno alle attività criminali. Ma Morucci si indispettisce,” tutto è irrilevante, presidente”. Il gioco forse si sta facendo duro, se rifiuta alla fine di partecipare al secondo appuntamento stabilito per la settimana successiva: “che vengo a fare? Tanto non rispondo”.

Un vero peccato non poter godere di un nuovo show, anche perché fonti dell’organismo parlamentare ci rivelano di aver appreso che quei nomi servivano per una trattativa importante, tanto da coinvolgere anche il famigerato Umberto Federico D’Amato, il numero uno delle spie italiche. L’oggetto del patteggiamento gestito dalla Mobile di Roma era la resa di Morucci in cambio dei suoi compagni: una negoziato forse bruciato dall’intervento della Digos, ignara della trattativa in corso, piombata nell’appartamento grazie ad un informatore. O forse ritenuto alla fine non opportuno, non lo sappiamo ancora. Fallita una trattiva se ne aprì un’altra, quella che avrebbe portato alla verità taroccata del Memoriale e che consentì a Morucci di essere presto libero, attivo  interlocutore anche di uomini delle istituzioni -  ha lavorato per la G Risk, società di intelligence e sicurezza amministrato dal generale Mario Mori, già capo del ROS, come rivelarono tempo fatto Emiliano Liuzzi e Marco Lillo su Il fatto.

A quanto si apprende, infine, dopo l’audizione di Morucci, la sua ex compagna Adriana Faranda ha fatto sapere di non essere disponibile a rispondere alle domande della Commissione parlamentare. 

 

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