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Cronache
Reddito di cittadinanza all'ex Br: clemenza solo per i terroristi di sinistra

"Non sono mai stata contattata da questa donna. Da altri si', ma da lei no. E io non vorrei incontrare nè lei nè i suoi familiari". E', comprensibilmente, amareggiata donna Olga D'Antona, vedova del giuslavorista riformista, prof.Massimo, trucidato, il 20 maggio del 1999 dalle "Nuove Brigate rosse". Alla signora, 73 anni, non ha fatto piacere leggere che sia stato concesso il reddito di cittadinanza a Federica Saraceni, 50 anni, condannata dalla Cassazione a 21 anni e 6 mesi per appartenenza a banda armata e concorso nello spietato omicidio di D'Antona.

La brigatista venne arrestata, il 24 ottobre 2003, nel corso di un blitz delle forze dell'ordine che, fra Roma e la Toscana, catturarono sette  terroristi, tutti accusati di partecipazione a banda armata, nell'ambito dell'inchiesta per l'omicidio di Massimo D'Antona.  

Nel febbraio 2009, in virtù dei cinque anni  scontati, tra carcere e arresti domiciliari, della sua seppur parziale e generica dissociazione dal terrorismo, dei benefici di legge e della sua situazione familiare (ha una figlia), la Saraceni venne posta in detenzione domiciliare, a Roma, dove tuttora sconta, serenamente, bene assistita e non pentita, la pena.

Tra i familiari della brigatista, che la D'Antona non intende incontrare, c'è il padre, Luigi, 82 anni, già "toga rossa", poi collega della signora, nel gruppo parlamentare dei DS, e infine avvocato di Federica, nel processo per il delitto D'Antona. Nel suo libro di memorie, l'ex deputato calabrese si duole che sulla giovane "non abbiano funzionato gli anticorpi di carattere umano, politico, morale, che costituiscono il patrimonio del mondo, a cui ritengo di appartenere....Mia figlia, con quel gruppo di dissennati, in qualche modo, ha avuto a che fare...".

Una vicenda non dissimile da quella vissuta dalla famiglia progressista di un' altra "compagna che sbagliò", la contessina Fiora Pirri Ardizzone, figlia del maggiore azionista del "Giornale di Sicilia" e della aristocratica, Ninni Monroy, dei principini di Pandolfina, in seconde nozze moglie dell'allora senatore del PCI, Emanuele Macaluso, garantista. La nobile, e compagna, Fiora, ex moglie del leader di Potere operaio, Franco Piperno, venne condannata a 9 anni di prigione per un attentato all'Università della Calabria. Tornò libera, dopo aver scontato 7 anni, in virtù della grazia, che provocò aspre polemiche, concessa dall'allora Capo dello Stato, il socialista Sandro Pertini. Il provvedimento fu bocciato da "La Repubblica", diretto da Eugenio Scalfari, che affidò le critiche a un duro commento, vergato da Antonio Gambino :"La Pirri Ardizzone appartiene a quella categoria di intellettuali déracinés-che va da Toni Negri ad Oreste Scalzone a Franco Piperno-che sono stati le teste pensanti del terrorismo italiano, i maestri sciagurati di migliaia di ragazzi, che si erano convinti che calarsi i passamontagna sulle facce fosse il modo migliore per risolvere i problemi sociali".

Agli attacchi, Pertini rispose, in sintonia con l'allora Guardasigilli, il dc Mino Martinazzoli, dichiarandosi favorevole alla clemenza a quei terroristi, che non avessero commesso reati di sangue e avessero scontato metà della pena. Questi requisiti non può presentarli la Saraceni, stangata anche per il delitto D'Antona e reclusa per solo 5 dei 21 anni e 6 mesi, decisi, in via definitiva, dalla Cassazione.

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