Senza saperlo, giornalisti 'tracciati' al telefono dal magistrato
Il caso esplode a Bologna e sta mettendo in imbarazzo la Procura. I telefoni di diversi giornalisti sono stati tracciati da un pm ma non si sa bene perché
Lo sapevate che un pubblico ministero, senza passare dal vaglio di un giudice, può acquisire i nostri tabulati telefonici per capire con chi abbiamo parlato e quante volte, tracciando la nostra vita?
Tutto a norma di legge.
Certo, l'operazione dovrebbe essere motivata come acquisizione di prove in seguito ad un'indagine.
Ma se poi questi tabulati, per un qualche motivo, spariscono non si saprà mai che le acquisizioni sono state fatte. Come facciamo ad escludere che un pm non abbia acquisito informazioni su di noi?
Anche se non abbiamo mai commesso un reato in vita nostra, o non siamo coinvolti in un fatto specifico, il sistema potrebbe permettere ai singoli pm, senza passare da un giudice che vaglia l'acquisizione, un tracciamento di chi siamo, che contatti abbiamo e con quale frequenza si sono sviluppati nel tempo. Una sorta di mega mappa di ognuno di noi, tanto più rilevante quanto è il mestiere che svolgiamo.
Forse di una vicenda simile, ma solo apparentemente, avete sentito parlare anni fa, con l'inchiesta Why not dove per un'ipotesi di corruzione il pm Luigi De Magistris e il suo consulente Gioacchino Genchi indagavano vari notabili tra cui parlamentari, acquisendo centinaia di tabulati telefonici. Ma quella era un'altra storia. I tabulati vennero acquisiti e i fatti ricostruiti proprio da pm e consulente che non ebbero alcuna intenzione di nasconderli. Anzi. Entrambi sono stati assolti per la specifica questione, quando qualcuno gliel'ha contestata.
Ora, attenzione, la vicenda si manifesta ma con tinte diverse e misteriose a Bologna. E da giorni nei palazzi del potere non si fa che parlarne, sperando che tutto si acquieti con il passare delle ore.
Nel 2015 un magistrato, l'aggiunto Valter Giovannini, uomo forte della procura e in quel momento responsabile della comunicazione (cioè l'unico magistrato deputato a parlare con i giornalisti) chiede di acquisire i tabulati telefonici di due giornalisti locali, Gilberto Dondi de Il Resto del Carlino di Bologna e Gianluca Rotondi de Il Corriere di Bologna. La vicenda su cui il magistrato sta indagando è l'inchiesta sulla maxi eredità dell'impresa Faac, cancelli automatici, lasciata sorprendentemente dall’imprenditore Michelangelo Manini in eredità alla Curia bolognese. Alla decisione di Manini seguono guerre fra i parenti, testamenti falsi, intrusioni negli studi delle persone coinvolte e intrighi di oggi genere. Vicenda poi chiusa con la Curia che acquisisce il patrimonio Faac così come sembra fosse il volere di Manini.
In una costola dell'indagine c'è un carabiniere, poi condannato in primo grado. E' accusato di accesso abusivo al sistema informatico dei carabinieri e di aver cercato di distruggere file dell’inchiesta Faac. Ma i due giornalisti, Dondi e Rotondi, non conoscono o hanno mai parlato direttamente con lui. Il colpo di scena arriva in aula, durante il processo al carabiniere, quando si scopre che i telefoni dei due giornalisti sono stati acquisiti dalla procura. L’avvocato del carabiniere mostra la richiesta del pm Giovannini dei “dati di traffico in entrata e in uscita” dalle utenze telefoniche, “considerato che ricorre la necessità per il prosieguo delle indagini in corso”. I motivi delle acquisizioni dei tabulati dei giornalisti non sono chiari e il poliziotto, Giancarlo Salsi, che le ha eseguite per il pm Giovannini, in aula durante l'udienza, interrogato sul fatto e sul perché delle acquisizioni risponde: “Non ricordo”.
Agli atti, dopo quella delega, non ci sono né i tabulati né altro. L'acquisizione dei tabulati è uno strumento giudiziario legittimo, ma nemmeno il processo è riuscito a motivare il perché siano stati acquisiti, visto che i giornalisti non avevano rapporti con il carabiniere. Non si comprende dunque l’esito dell’accertamento e tutto sarebbe rimasto sepolto se l'avvocato non avesse portato a galla la richiesta dei tabulati fatta dal pm.
Ma qualche giorno dopo la giornalista Nicoletta Tempera de Il Carlino scopre che l'acquisizione dei tabulati dei due giornalisti non è un caso isolato.
Il procuratore aggiunto Valter Giovannini aveva infatti già firmato nel 2013 un'altra acquisizione: dei tabulati del giornalista Rotondi, di un suo collega del Corriere, Alessandro Mantovani (ora a Il Fatto quotidiano) e del “nerista” de Il Carlino Enrico Barbetti.
La richiesta era stata successiva alla pubblicazione sui due giornali di un'intrusione nello studio del presidente del trust della Faac. Giovannini scrive che la notizia è “in astratto divulgabile stante l’oggettiva rilevanza pubblica e l’assenza di significativi particolari istruttori”, e dispone l’acquisizione dei tabulati, dal 27 al 30 maggio 2013, allo scopo di “individuare le fonti dell’informazione, potendo da esse ricostruire meglio qualche contorno della complessa vicenda di indagine”. Ma se c'è “assenza di significativi particolari istruttori”, cioè non ci sono ipotesi di reati, perché acquisirli questi telefoni? Mistero. Anche qui oltre la richiesta del pm non appaiono altri atti.
Sia l'Ordine dei giornalisti dell’Emilia-Romagna che il sindacato Aser sono intervenuti
chiedendo spiegazioni alla procura dato che secondo la Corte europea “la tutela delle fonti giornalistiche deve essere totale e dunque deve estendersi sino al divieto di perquisizione di documenti e di supporti informatici, ciò al fine di garantire il più totale vincolo di anonimato in capo alle fonti a cui il giornalista attinge”. Il caso appare oltremodo paradossale perché il carabiniere non è neanche una fonte dei giornalisti.
Più duro il presidente dell’Unci (Unione nazionale cronisti italiani), Alessandro Galimberti, giornalista de Il Sole 24 ore: “Questo modo di procedere e di argomentare l’utilizzo di strumenti d’indagine altamente invasivi, sia dei diritti della persona sia di quelli dei colleghi giornalisti, testimonia una concezione della giustizia asservita a finalità di controllo autoreferenziali, e non invece diretta e orientata verso l’unica ragione giustificatrice dei poteri della pubblica accusa, ovvero la ricerca e la dimostrazione di fatti/reato”.
Dalla procura della Repubblica di Bologna non sono giunte reazioni.