Tecnologia per valorizzare il lavoro. La nuova impresa 4.0 per la Cei
La Cei non crede ai tecno-ottimisti né ai tecno-apocalittici
“Non crediamo ai tecno-ottimisti che annunciano un’esplosione di produttività che non richiederà quasi più interventi umani, né ai tecno-apocalittici che vedono nella rivoluzione digitale solo una massiccia distruzione di posti di lavoro”.
Lo ha affermato l’arcivescovo di Taranto, Mons. Filippo Santoro, che ha presentato a Roma in conferenza-stampa, riportando anche il saluto e il pensiero del cardinale Gualtiero Bassetto, presidente dei vescovi italiani, gli ATTI DELLA Settimana sociale di Cagliari che si è fondata sul grande principio propugnato da Papa Francesco sul Lavoro che “vogliamo libero, creativo, partecipativo e solidale”.
Gli “Atti”, riassunti nell’acuta analisi del sottosegretario e portavoce don Ivan Maffeis, non sono “un riferimento storico – ha detto Santoro – ma possono sostenere una ricca dinamica già in atto nel nostro Paese”. Si tratta di una vera “riconversione culturale” legata alla riscoperta del senso del lavoro”. Ciò è possibile in un nuovo rapporto tra imprenditore e lavoratore "quando – come ha detto il Papa – l’imprenditore non devo confondersi con lo speculatore”.
Ciò comporta che si valorizzano “insieme agli investimenti dello Stato e alle politiche pubbliche un nuovo ruolo decisivo dell’impresa”. Tutto ciò non significa secondo gli studiosi e i ricercatori cattolici – come ha chiarito anche Sergio Gatti, Vice presidente del Comitato scientifico - che si ignori la piaga della disoccupazione ma che si faccia “particolare attenzione allo sviluppo dell’economia digitale e al formarsi dell’Impresa 4.0”.
Insomma, per mons. Santoro, “il problema non sta nella pervasività delle nuove tecnologie, ma nella capacità politica e sociale di regolarne l’uso e la gestione”. E ha spiegato: “Oggi, per fare la quantità di lavoro occorre puntare sulla sua qualità: passare da un’economia della sussistenza – come fabbricazione e sfruttamento – ad un’economia dell’esistenza – produttrice, cioè, di saper-vivere e di saper-fare. E’ questa la via – ha affermato –per salvare e insieme umanizzare il lavoro a partire da un’adeguata formazione professionale”.
Il lavoro, in definitiva, resta in ogni caso e sempre, al centro. “La centralità” è la via da percorrere, diventando – ha concluso l’arcivescovo di Taranto – il cardine “di un’inedita alleanza intergenerazionale capace di salvare i nostri figli dalla stagnazione e gli anziani da una progressiva perdita di protezione. Occorre promuovere il lavoro degno come pilastro di un nuovo modello di sviluppo che non sia più ossessionato dalla crescita quantitativa e da un’efficienza economica e tecnica senza coscienza. Bene della persona, bene comune e lavoro degno sono i punti di riferimento per una vera conversione culturale”, sia nel campo ecclesiale che nell’economia e nella politica”.
Tutte le istituzioni ecclesiastiche e religiose hanno dunque il loro da fare per sviluppare un’ “ecologia integrale”.
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