Yoga per detenuti, “Jailwashing” e bustine da tè
Le grandi aziende (ma anche le piccole) spesso utilizzano una tecnica di marketing chiamata Greenwashing
Le grandi aziende (ma anche le piccole) spesso utilizzano una tecnica di marketing chiamata Greenwashing (https://it.wikipedia.org/wiki/Greenwashing) che consiste nel “lavare” la propria immagine utilizzando la tematica ambientale per promuoversi.
Ieri sul Corriere della Sera è stato pubblicato un interessante (sociologicamente) articolo dal titolo “Grazia, che con lo Yoga insegna ai detenuti a ridere” che è un po’ un ulteriore segno dei tempi oscuri che stiamo vivendo,
http://www.corriere.it/cronache/16_settembre_16/grazia-fortuzzi-che-lo-yoga-san-vittore-6b1b1d38-7c47-11e6-a2aa-53284309e943.shtml.
L’articolo ci descrive le mirabolanti trovate di Grazia Fortuzzi, bolognese del 1959, che per un’ora e mezzo alla settimana “fa ridere i detenuti” e che quattro anni fa ha avuto l’idea di proporre ai dirigenti del carcere di San Vittore a Milano il suo “pacchetto” di risate settimanali.
La “counselor” ci dice che “ridere senza motivo sembra una follia ma fa bene”.
E poi la ricetta risolutiva:
“Gonfio la pancia e respiro a bocca aperta, saltello, immagino di essere una bustina da tè”.
Poi una voce più saggia di un detenuto le dice:
“Adesso ci mandano tutti al Conp (ndr: reparto neuropsichiatrhico)”.
Insomma, la Fortuzzi propone alle istituzioni carcerarie lo “Yoga della risata” e si definisce da sola “rimbambita” e ride ride ride proponendo di immaginarsi una bustina da tè.
Questi i fatti.
Qualche considerazione.
La situazione carceraria italiana è particolarmente seria e complessa e meriterebbe una attenzione altrettanto seria e –occorre dirlo- da tempo ci si sta muovendo in questa direzione.
Il recente congresso radicale nel carcere romano di Rebibbia ha segnato certamente una attenzione a livello istituzionale data la presenza del ministro della Giustizia Orlando.
Ma iniziative come quella dello “Yoga della risata” ci fanno capire che di strada ce ne è ancora tanta da fare; iniziative come queste, clownesche in tutti i sensi, rischiano di annullare quanto di buono fatto finora.
Proporre ai detenuti di sentirsi una “bustina da tè” non sembra una terapia particolarmente intelligente e sarebbe interessante sapere se la signora è stata pagata per questo e quanto.
Già il carcere non è un luogo ameno e magari qualche detenuto potrebbe sentirsi -come dire- preso in giro da iniziative bislacche come questa di cui francamente non si sente il bisogno.
E poi, lo “Yoga della risata” non rispetta neppure l’antica e nobile disciplina orientale; da quelle parti, da 3000 anni si pratica lo Yoga, ma quello serio descritto nei testi sacri indiani e non queste degenerazioni furbette occidentali che insegnano alla gente a sentirsi “bustine da tè” e che magari paghiamo pure lautamente con le nostre tasse.