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Culture
Manovra, le stoccate di Kurz all'Italia? Il revanchismo austriaco non si placa

L'Italia ha, in questi ultimi giorni e in tutti i modi, evitato di incappare nella procedura di inflazione che la UE e le autorità di Bruxelles avevano voluto comminare al cosiddetto Governo gialloverde se non fossero stati rispettati i parametri imposti dalle regole comunitarie. Affinché non venisse ulteriormente sforato il deficit che fa degli Italiani il popolo più indebitato del Vecchio Continente. Uno dei governi aderenti all'Unione che, con più veemenza, si è scagliato contro quello italiano, è stato l'austriaco. Il quale ha chiesto che fossero applicate con rigorosa sollecitudine le sanzioni previste dalle leggi e dai regolamenti della Comunità per gli Stati membri che non rispettano i parametri percentuali fissati. Anche perché possa venire evitata la mannaia dell'aumento del cosiddetto spread, il differenziale dei bond italiani intercorrente con i bund tedeschi. È intervenuto lo stesso cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, a scagliarsi contro il Governo di Roma, per definizione “allegro” e spendaccione, e contro la politica economica e finanziaria portata avanti da esso.

Il tutto, per nascondere, molto in malo modo, per la verità, la rivalsa vendicativa nei confronti dell'Italia e del suo peccato d'origine: quello commesso dalle classi borghesi e risorgimentali, al momento dell'unificazione nazionale. In special modo avverso i più vivi interessi geopolitici dell'antica felix Austria asburgica. Una lacerante ferita inferta nel tessuto connettivo della Duplice Monarchia che, ancora oggigiorno, sanguina senza che se ne possa intravedere, a breve, la rimarginazione.

Il vulnus ha continuato – è doloroso affermarlo – a bruciare in questo passato 2018. Che ha visto l'organizzazione di innumeri eventi e manifestazioni memoriali per ricordare la conclusione della Prima Guerra Mondiale, che tanti lutti dilaceranti ha arrecato alle famiglie italiane, tante angoscianti scomparse che hanno provocato nella società giovanile delle regioni dell'Italia mancanze che è stato sempre difficile colmare, se solo si pensa a quante siano state le giovani vite falcidiate. Quante fresche intelligenze siano state sprecate durante i ripetuti assalti ordinati dalla spietata incapacità del generale Cadorna che si ostinava, senza esito positivo alcuno, a scagliare contro il nemico atavico, migliaia di ragazzi. Che, se non perdevano la vita nei “corpo a corpo”, distruggevano il proprio morale nella logorante vita di trincea, nella neve e nel fango ghiacciato senza che, per anni, si fosse potuti giungere ad una conclusione vittoriosa delle italiche vicende belliche. Tanto che poi, al termine delle ostilità, nel 1918, si parlò, con fondata insistenza, di “vittoria mutilata”, per i 670'000 morti che, con straziante infelicità, dovette registrare la società italiana; una vittoria-beffa che era stata resa più cocente ed amara dal mancato riconoscimento degli altissimi meriti che erano stati conseguiti dagli umili fanti che avevano costituito il nerbo immarcescibile, il cosiddetto zoccolo duro dell'esercito nazionale. Venivano, in tal modo, gravemente inapplicate dagli alleati della Triplice Intesa le clausole dell'accordo di Londra che Antonio Salandra, Presidente del Consiglio dei Ministri, e Sidney Sonnino, Ministro degli Affari Esteri, avevano sottoscritto, quasi di soppiatto, il 26 aprile del 1915.

Con la netta disfatta finale subìta ad opera dell'esercito italiano nella battaglia di Vittorio Veneto, durata dal 29 ottobre al 4 novembre del 1918, dalle armate austro-ungariche, il plurisecolare impero asburgico si sfasciò totalmente metre l'ultimo imperatore, Carlo I (21 novembre 1916-8 novembre 1918), fu costretto ad abdicare al trono e a partire per l'esilio, nell'isola atlantica di Madera, dove morì a Fúnchal, il 1° aprile del 1922. A Villa Giusti, alla Màndria di Padova, fra Abano e lo stesso capoluogo Padova, le commissioni Italiana ed Austriaca si riunirono il 3 novembre del 1918, per sottoscrivere i patti dell'armistizio imposto dall'Italia all'antica egemone. Armistizio che pose sostanzialmente fine alla cosiddetta Grande Guerra con la quale gli Italiani avevano inteso completare il lungo e accidentato processo risorgimentale e la tanto agognata unificazione nazionale del popolo dello Stivale. La Duplice Monarchia crollava miseramente dando così luogo alla concomitante creazione di alcuni Stati finalmente liberi dalla tutela e dagli interessi territoriali e politico-economici della dinastia Asburgica.

Il generalissimo Armando Diaz (1861-1928), che era stato nominato capo supremo delle forze armate in sostituzione di Luigi Cadorna (1850-1928), dimissionario sin dal giorno 9 del mese di novembre del 1917, s'inicaricò di comunicare, coram populo, la fine delle ostilità con uno storico Bollettino dai tracotanti toni, che, nell'ultimo capoverso, recita: “I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del Mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli, che avevano disceso con orgogliosa sicurezza. Diaz”.

Risiede in tutte queste espressioni, in sostanza, la strisciante ostilità che, quasi inaspettatamente, si è venuta manifestando negli ultimi giorni di quest'anno 2018, ormai tramontato.

Con il rapsodico intervento dei mesi scorsi, scagliato contro l'Italia, il Governo austriaco ha palesato tutta l'acredine vendicativa che aveva covato sinora nel proprio seno. Risentimento che risale alla sconfitta del 1918 che l'ha ridimensionata drasticamente portandola a diventare una potenza di secondo piano, quasi uno Stato cuscinetto, senza più le capacità e gli intenti di poter orientare, secondo i suoi interessi, in maniera significativa, le sorti della Mittéleuropa.

Eppure, nel 1899, questa potenza baluardo, è opportuno renderne atto per onestà intellettuale, monarchica e cattolica, si era mostrata lungimirante e magnanima nei confronti dell'antica regione Mágiara. Aveva assunto una “maschera” di apertura e tolleranza verso il popolo ungherese il quale, pur avendo ottenuto alcune concessioni di natura quasi liberaleggiante, non aveva spento tutte le velleità di attivismo protestatario che inficiavano pesantemente i rapporti intercorrenti tra le due realtà politico-territoriali che, al contrario di quanto si possa ragionevolmente argomentare, nonostante le concessioni e le aperture di Vienna, rimasero sempre tesi, mai sereni e improntati alla solidarietà fraterna e alla mutua cooperazione.

In quell'anno il monarchico regime dualistico Austro-Ungarico, tenuto insieme, sia pure, in alcuni casi, molto precariamente, dalla persona dello stesso imperatore austriaco, venne sottoscritto un importante compromesso che contemplava l'assegnazione, ottriatamente, all'Ungheria del diritto di regolare, senza consenso alcuno di natura preventiva da parte dell'Austria, le proprie questioni sia commerciali che doganali. Era un trattato intelligente e, per ciò stesso, lungimirante, con un carisma apertamente solutus da vincoli, impegni, obblighi, che rendeva, da quel momento in avanti, il regno mágiaro, un'entità politica autonoma ed interamente arbitra del proprio avvenire economico e finanziario favorendo, di conseguenza, paradigmaticamente, la crescità ed il progresso dell'intera nazione unghere e, com'è ovvio, in particolare, di ciascun abitante dell'antica Terra dei Mágiari.

Tutto questo, comunque, non venne ritenuto sufficiente dall'establishment socio-culturale ungherese per sedare gli animi insofferenti del capestro austriaco. Le divergenze fra la Dieta di Budapest ed il Governo di Vienna non furono mai appianate, tanto che il ribellismo endemico continuò, quasi senza soluzione di continuità sì da costringere le autorità austriache a pronunciare, in nome dell'imperatore Francesco Giuseppe I (1848-1916), innumeri sentenze jugulatorie.

Il revanchismo austriaco, dopo il risolutivo rovescio inflitto alle armate imperiali asburgiche dall'esercito italiano, guidato con brillante determinazione dal generalissimo Armando Diaz, è stato sempre covato in una sorda e micragnosa aspettativa di una favorevole occasione per togliersi quello stilo acuminato che, sin da quel 4 novembre del 1918, dilania, senza jato alcuno, il cuore esacerbato degli eredi dell'impero Austro-Ungarico. I quali, pur essendo stati soccorsi nel drammatico momento dell'Anschlúss, allorché la Germania hitleriana intendeva giungere all'annessione dell'Austria al Reich germanico, alla quale si opponeva il cancelliere Engelberto Dollfuss (1892-1934) che, vittima del proprio patriottismo, venne assassinato il 25 luglio 1934, nonostante la protezione accordatagli da Benito Mussolini che, immediatamente, schierò al Brennero alcune divisioni dell'esercito italiano, non hanno mai reso grazie all'Italia per quello spontaneo e disinteressato soccorso. Ingaggiando una battaglia, sebbene inane, di civiltà, che vide primeggiare chi amava la propria appartenenza coltivando altresì le proprie immarcescibili radici latine e cristiane che si nutrono dell'humus dell'orgoglio e dell'identità più pura e catartica.

Dei quali oggi l'Italia, nel fare memoria, dopo cento anni da quella vittoria che completò, con ulteriori sacrifici e pianti, il processo risorgimentale italiano, intende trasmetterne la lezione matetica alle giovani generazioni, in un crescendo rossiniano di dedizione e di costante testimonianza nei confronti di quelli che persero la vita e marcirono nella trincee del Carso e dell'Italia intera. Così, fornendo l'input alla costruzione storica e sociale dell'Italia odierna e di quella futura, in una coalescenza virtuosa dei diritti e dei doveri, senza l'essenziale apporto dei quali, tutto sarà più squallido e privo di mordente alcuno. Sia nel bene che nel male.

Così come desidera fortemente la sana, la buona volontà dell'intera popolazione della Penisola. Quella italiana, naturalmente!

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