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Battaglia su diritti d'autore: d’Atri, ceo Soundreef, ecco perché siamo solidi
Davide d’Atri, fondatore e ceo di Soundreef.

Battaglia su diritti d'autore: d’Atri, ceo Soundreef, ecco perché siamo solidi. Il numero di iscritti è salito a 35mila

Davide d’Atri, fondatore e ceo di Soundreef, la collecting privata del diritto d’autore, in questa intervista risponde a un articolo pubblicato su Affari Italiani: “Prima di tutto c'è da precisare che Soundreef è un'azienda italiana. Soundreef Spa ha 4 partecipate, tra cui quella inglese Ltd: di fatto è una società italiana con sede legale a Londra, che nel 2015 acquistò quella londinese con l’obiettivo di riportare nel Paese di nascita dei due fondatori una realtà innovativa, con un portafoglio di investimenti (anch’essi italiani) consistente. I bilanci andrebbero letti in maniera consolidata, non si può guardare come è stato fatto solo alla Ltd, senza leggere quelli della casa madre, altrimenti si ottiene una visione molto parziale. Se si leggono anche i bilanci della Spa si capisce che la società è ben finanziata. I nostri due principali investitori sono Vam Investments e Immobiliare.it. Abbiamo raccolto oltre 9 milioni euro di investimenti, e crediamo di poterne raccoglierne altri 20 nei prossimi 18 mesi. Il fatturato, secondo l’ultimo bilancio, è cresciuto di circa il 43% rispetto all’anno precedente, così come il numero di iscritti salito a 35 mila, di cui 16 mila autori ed editori italiani (2 mila in più rispetto al 2017). Cifre che hanno convinto i nostri investitori”.

 

Battaglia su diritti d'autore: d’Atri, ceo Soundreef, ecco perché siamo solidi. Le scaleup hanno sempre l'ebitda negativo

D’Atri spiega così le caratteristiche proprie di una scaleup come Soundreef: “La seconda cosa, e più importante, è che le startup che poi diventano scaleup come la nostra hanno quasi sempre un'ebitda negativo. Per definizione una scaleup cresce in un breve periodo, e per farlo investe più di quel che produce; non tutti gli investimenti sono ammortizzabili, per questo l'ebitda resta negativo per anni, e per questo si parla di capitali di rischio. A un certo punto si raggiungono economie di scala e l'ebitda diventa positivo. È quel che vorremmo ci fosse in Italia e invece non c'è, la linfa vitale, lo sviluppo di investitori che investono in società che altrimenti non starebbero in piedi, oppure crescerebbero più lentamente perché dovrebbero crescere in maniera organizzata. Insomma siamo una società italiana che diventa una scaleup, raccoglie soldi e cresce in maniera veloce, e quando si parla di scaleup bisogna guardare a una serie di fattori, non solo all'ebitda. Non per niente Spotify ha ancora un rosso di oltre un miliardo. Tra l'altro nell'industria della musica è ancora più vero, qualsiasi startup ha fatto perdite per vari anni, perché ci sono royalties da pagare che impattano in maniera importante, quindi bisogna arrivare a economie di scala veramente importanti”.

 

Battaglia su diritti d'autore: d’Atri, ceo Soundreef, ecco perché siamo solidi. La digitalizzazione dell'industria musicale

Il fondatore e ceo di Soundreef racconta così la digitalizzazione di Soundreef: “Crediamo che il mondo dell'industria della musica sia un fatto di dati, che fino ad oggi sono stati utilizzati pochissimo. Per fare un esempio, negli ultimi 2 anni abbiamo raccolto e analizzato 2 miliardi di dati relativi a passaggi musicali. Una montagna, una galassia di dati da radio, tv, web, discoteche, che finora non erano stati raccolti in maniera ordinata e razionale, e soprattutto non utilizzati per ripartire le royalties, il che si faceva a tavolino. Noi siamo una data company che analizza e mette a disposizione degli editori i dati, per decidere come utilizzare la loro musica al meglio e per ripartire le royalties. Per fare un paio di esempi, su Youtube rendicontiamo le royalties entro il 20 del mese per il mese precedente, mentre con il sistema tradizionale ci vogliono 18 mesi; per i live entro 7 giorni, contro i 12 mesi del tradizionale. Con radio e tv lavoriamo in tempo reale, ascoltiamo decine di migliaia di canali televisivi in Italia e nel mondo: quando il software trova un nostro brano, viene pushato all'editore: questo per decine di migliaia di passaggi radio tv. Siamo solo all'inizio di una rivoluzione, la ricostruzione dell'infrastruttura portante dell'industria della musica: gli investitori chiedono tecnologia, non servizi”.

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