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Culture
Elezioni 2018, Alberto Bagnai e "Il tramonto dell'euro". Il libro
Foto La Presse

L'Europa è il tema che divide Silvio Berlusconi e Matteo Salvini. Con la candidature di Alberto Bagnai, il "prof no euro", il leader della Lega nn ha intenzione di fare retromarcia sulle sue durissime critiche alla moneta unica. Ma qual è la ricetta esatta dell'economista di Firenze candidato con le liste della Lega in Lazio e Abruzzo il prossimo 4 marzo? Quali sono i progetti in caso di uscita dell'Italia dalla moneta unica?

Affaritaliani.it pubblica un estratto dell'ultimo capitolo, "Dopo l'euro", del libro "Il tramonto dell'euro" (Ed. Imprimatur) di Alberto Bagnai, in cui si spiega cosa accadrebbe con l'Italia fuori dall'euro. 

Il percorso compiuto fin qui porta a una conclusione: l’euro è antidemocratico (lo confessa perfino chi, come Attali, ha contribuito a definirne le regole), ed economicamente insostenibile. Due ottimi motivi per rifiutarlo. Il suicidio economico collettivo di un intero continente, se pure venisse accettato dai suoi abitanti, orwellianamente condizionati dai mezzi di informazione, verrebbe comunque rifiutato dai mercati. Questi manifestano un nervosismo sempre maggiore di fronte alle politiche di austerità praticate dai vari garzoni di bottega, che il grande creditore teutonico ha inviato in giro per l’Europa a riscuotere i sospesi. Il pragmatismo anglosassone dei mercati capisce che una volta ridotta l’Europa a un deserto economico, non ce ne sarebbe più per nessuno, avrebbero perso tutti, soprattutto i creditori. L’intransigenza di stampo “leghista” della cancelliera Merkel, foriera di tensioni internazionali, viene criticata da tempo anche all’interno del suo stesso Paese. “Non è una donna molto intelligente”, dichiarava già nel 2010 l’ex cancelliere Helmut Schmidt all’Handelsblatt, sostenendo come la politica della Bundesbank, alla quale la Merkel rigorosamente si conformava e tuttora si conforma, fosse sostanzialmente contraria alla logica dell’integrazione europea, e come il mercantilismo, la politica economica basata sul perseguimento del surplus estero a tutti i costi, fosse, nel lungo periodo, fallimentare. Dopo più di dieci anni, al lungo periodo, e quindi al fallimento, possiamo dire di esserci arrivati.

IL LIBRO - Dopo anni di recessione i testi sulla crisi non mancano. La maggior parte però propone ricette per salvare l'euro da se stesso, modificando le regole europee. Ne mancava uno che si ponesse il problema di salvare i cittadini dall'euro. Sfondando la barriera dei luoghi comuni, questo libro illustra il legame fra l'euro e la disintegrazione economica e politica dell'Eurozona, descrive le modalità e le conseguenze pratiche di un eventuale percorso di uscita e, infine, indica la direzione lungo la quale riprendere - dopo l'infelice parentesi dell'unione monetaria - un reale percorso di integrazione culturale, sociale ed economica europea. Un altro euro non è possibile. La sua fine segnerà l'inizio di un'altra Europa, possibile e desiderabile.

Il tramonto dell'euro interna
 

IL TRAMONTO DELL'EURO
Come e perché la fine della moneta unica salverebbe democrazia e benessere in Europa
Alberto Bagnai | pp. 324 | € 9,90 ISBN 978 88 6830 452 2

L'AUTORE - Alberto Bagnai è nato a Firenze e si è laureato in Economia alla Sapienza di Roma, dove ha conseguito il dottorato in Scienze economiche. È professore associato di Politica economica presso il Dipartimento di Economia dell'Università Gabriele D'Annunzio di Chieti-Pescara. Si occupa di economie emergenti e della sostenibilità del debito pubblico ed estero e ha pubblicato saggi su riviste scientifiche nazionali e internazionali. Il suo blog goofynomics.blogspot.it è diventato un importante punto di riferimento per l'analisi della crisi dell'Eurozona.


Non possiamo sapere esattamente quando accadrà: probabilmente non prima delle ormai imminenti elezioni americane, ma verosimilmente nel corso del prossimo anno, il 2013, quando la crisi diventerà conclamata in Francia.70 Anche in questo caso abbiamo un precedente storico: quando nel 1992 le tensioni dello Sme credibile ci colpirono nel modo che abbiamo più volte ricordato, l’Italia venne additata, come al solito, come la pecora nera, costretta a svalutare dal retaggio dei propri vizi atavici. Quando, un anno dopo, le stesse tensioni si scaricarono sulla Francia, le regole dello Sme vennero semplicemente cambiate (il 10 agosto 1993), adottando una banda di oscillazione dei cambi del 15 per cento, che di fatto trasformava lo Sme in un sistema di cambi fluttuanti. Fossero state cambiate un anno prima, avremmo evitato la crisi. Ma l’importante è che prima o poi quello che è assurdo venga riconosciuto per tale e smantellato. D’altra parte, è inconcepibile che i cittadini francesi possano accettare anche solo per un giorno il martellamento mediatico colpevolizzante al quale sono sottoposti ormai da anni i cittadini dei Paesi periferici dell’Eurozona, Italia compresa, accusati dai propri governi e dai propri mezzi di informazione di essere i colpevoli della crisi, a causa della propria scarsa produttività, della propria corruzione e via dicendo. Durante la scorsa campagna elettorale presentarsi in televisione insieme ad Angela Merkel non ha portato molta fortuna a Nicolas Sarkozy: il tentativo di rassicurare i mercati ha evidentemente preoccupato gli elettori. Da parte sua, Hollande è in caduta verticale nel consenso degli elettori: gli elementi perché la situazione esploda ci sono tutti, ed è solo questione di (poco) tempo. Si realizzeranno allora le profetiche parole di Martin Feldstein (1997) che abbiamo più volte citato: “Le aspirazioni francesi all’uguaglianza sono incompatibili con il desiderio tedesco di egemonia”. Qualcosa dovrà succedere.

Non possiamo nemmeno sapere chi gestirà l’uscita. Come abbiamo osservato, per quel che ci riguarda sarà certamente il governo “sbagliato”, cioè un governo che fino al giorno prima avrà ostentatamente difeso i valori (antidemocratici) dell’euro. Ma il probabile collasso del sistema interbancario europeo, a fronte dell’aumento delle tensioni politiche, e dell’accumularsi degli squilibri determinati dal fallimento delle politiche di austerità, non lascerà scelta. La soluzione sarà imposta dai mercati, e il giudizio politico arriverà dopo. Proprio questo, però, garantisce che il buon senso prevarrà, come notano De Grauwe e Ji (2012). I governi europei, tutti, di qualsiasi colore, lasciati a se stessi, non avrebbero altra opzione che quella di perseverare nel delirio ideologico delle proprie menzogne. Nessuno direbbe: “Abbiamo sbagliato”, perché chi lo facesse pagherebbe costi elettorali elevatissimi. Ma appunto, lo ripetiamo, sono proprio queste menzogne (“l’euro ci difende, l’austerità farà ripartire l’economia…”) che infliggono perdite sempre più pesanti ai mercati, e saranno questi a reagire, ponendo fine al delirio.

Come abbiamo visto, innumerevoli precedenti storici ci informano sul fatto che gli agganci valutari fra Paesi troppo diversi falliscono sempre. Abbiamo anche visto che nel caso dell’Eurozona esistono solide basi giuridiche su cui fondare la transizione verso un regime meno folle, abbiamo analizzato le forme che questa transizione potrebbe prendere sotto il profilo tecnico, ne abbiamo valutato le principali conseguenze macroeconomiche, in termini di crescita, svalutazione, inflazione, gestione del debito pubblico e del debito estero, e abbiamo accennato a una possibile agenda economica da perseguire una volta ritrovata l’autonomia valutaria, e quindi quella monetaria, e quindi quella fiscale.

Lo ripetiamo: l’Europa non è l’euro, l’Europa non è l’Unione europea. Le forme che l’integrazione europea ha preso negli ultimi trent’anni, essendo visibilmente condizionate dalle logiche economiche del Paese egemone (Krugman, 1998), non potevano che allontanare i Paesi europei da un comune percorso di sviluppo, come molti economisti avevano ampiamente previsto. Contestare queste forme non significa essere antieuropei. È invece antieuropeo, spesso semplicemente per difetto di cultura, qualche volta per asservimento a interessi particolari inconfessabili, chi si ostina a difendere queste istituzioni fallimentari, contro ogni ragionevole evidenza e contro l’avviso dei maggiori studiosi internazionali.

Che un’Europa senza euro e senza (o con una diversa) Unione europea possa essere migliore è ormai opinione condivisa in vari ambienti, da quelli accademici, a quelli politici. Ma ci sono dati che la supportano, questa opinione, oppure è anch’essa un pio desiderio, come evidentemente lo era quello che l’euro ci proteggesse dalle crisi? Per verificarlo, cerchiamo di analizzare qualche possibile scenario, partendo dalla situazione del nostro Paese e allargando progressivamente lo sguardo.

Un percorso autonomo dell’Italia, sganciato dall’Eurozona e dall’Unione europea così come la stiamo sperimentando è desiderabile e sostenibile, come abbiamo cercato di documentare nelle pagine precedenti. Ma sarebbe verosimilmente più auspicabile la ripresa, su basi razionali e paritarie, di un percorso comune con i Paesi europei, che proceda dall’abolizione dell’Eurozona e dall’adozione di un insieme di regole economicamente più razionali. Un percorso comune potrebbe portare benefici non solo al nostro Paese, ma all’intera economia mondiale. Ferme restando quindi le ragioni che suggeriscono la necessità di un rapido sganciamento dell’Italia dalla follia dell’euro, è anche importante delineare quali potrebbero essere le linee guida di questo percorso comune. Compito, questo, piuttosto facile, perché, come vedremo, la maggior parte del lavoro è stata svolta più di cinquant’anni or sono.

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