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Culture
Eppur si muore. Vivere di più o vivere meglio?, di Federico Pennestrì

di Alessandra Peluso

 

Federico Pennestrì enuclea l’annosa e onerosa relazione medico-paziente, da tempo sempre più tecnicizzata, nel quale sembra si sia spezzato quel filo dialogico essenziale. Nel saggio Eppur si muore. Vivere di più o vivere meglio?, sono dibattute le diverse problematiche che impediscono una corretta reciprocità tra medici e pazienti “sempre più impazienti: incapaci di accettare la sofferenza, sopportare il dolore, collaborare per la sua sconfitta, tradendo l’anima autentica della medicina”, vale a dire un rapporto autentico basato sulla fiducia.

Nella contemporaneità, l’interazione tra medico e paziente è venuta meno per molteplici motivazioni, una fra tutte l’informazione – alle volte errata – data dai nuovi canali di informazione come i social networks che in parte hanno sostituito la comunicazione reale; non solo, diventa difficile trovare medici disponibili a restare in ascolto: i medici di famiglia come si definivano un tempo hanno stravolto la loro veste. I pazienti, d’altro canto, sembra che abbiano acquisito la capacità di avere diritti ma non quella di considerare i doveri. Inoltre, Federico Pennestrì affronta il tema bioetico di vasta importanza quale l’eutanasia e la questione “morte”, la cui valenza ha cambiato significato e i soggetti di per sé non accettano la morte come fine, come limite e desidererebbero l’eternità, optando verso il miglioramento della qualità della vita. Si può scegliere come e quando morire? Sì. Paradossalmente, sì. È possibile.

L’autore discute sulla “malattia”, sulla “morte e vecchiaia”, “follia e fatica”, “miseria” e dulcis in fundo “speranza”. Pennestrì evidenzia le problematiche ma espone anche delle soluzioni, una opportunità di cambiamento se lo si vuole esiste e verte sul lavoro di “educazione”: le persone bene educate – osserva l’autore – sono persone che creano meno problemi, persone bene educate sono persone che trovano soluzioni, persone bene educate sono persone che creano una società più serena (p. 117). E dunque, occorre educare a partire dall’età pre-scolare e scolare, in famiglia come a scuola ed è fondamentale anche che la politica attui tipi di programmi che ne comportino la realizzazione.

Eppur si muore. Vivere di più o vivere meglio?, è una narrazione antropologica nell’avvicendarsi di  varie epoche storiche, si racconta senza appesantire anche dei mutamenti sociali con la presenza di statistiche adeguate.

Inoltre, si legge: “il medico serve l’arte. Nessuno gli chiede di fare anche lo psicologo, l’assistente sociale o il miglior amico del paziente […]. Il medico esegue al meglio ciò per cui ha studiato e per cui si aggiorna. È il sistema che deve essere olistico, permettendo ai diversi professionisti che trattano le varie parti del corpo di interagire nell’interesse della salute del paziente” (p. 107); e ancora: “l’olismo è il cardine della medicina e della cultura antica, una vera e propria filosofia del benessere che predicava la giusta misura, la coltivazione dei piaceri della mente, il giusto equilibrio […] (p. 108).

Pertanto, tra storia, racconto, considerazioni personali, la lettura è fluida e scivola via su ciò che è poi il leitmotiv del libro “Educazione”, “Formazione”: se mancanti o errate compromettono come si apprenderà nel testo le relazioni sociali. Forse Federico Pennestrì da bioeticista, filosofo, cittadino, ciò che vorrebbe si realizzasse fosse proprio questo: cittadini educati, informati e formati per recuperare non solo il rapporto medico-paziente, ma l’umanità che alle volte sfugge proprio come la velocità del tempo. Si diventa magari “vecchi” senza essere consapevoli di quanto la vecchiaia possa offrire e di quanto da essa si possa apprendere.      

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