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Culture
Festival del cinema, "Non solo vetrine, ma luogo d'incontro e approfondimento"

Di Oriana Maerini

L’appuntamento con Stefano della Casa, chiamato Steve  per la sua passione verso il cinema Peplum e all'attore Steve Reeves, non poteva non essere che davanti ad una sala cinematografica. Se il cinema a Torino dovesse avere un volto sarebbe il suo. La cultura cinematografia di questa città deve molto a questo critico, saggista e  organizzatore culturale. L’amore per la settima arte lo porta, fin dai tempi dell’università, a fondare, insieme ad altri studenti, il cineclub Movie Club, che, nei suoi dieci anni di vita diventerà il più importante cineclub italiano. Successivamente pone in essere, nel 1982, il Torino Film Festival del quale sarà direttore fino al 1999.  La sua carriera di direttore cinematografico prosegue con Roma Fiction Fest, Busto Arsizio Film Festival, Rassegna "Grande Cinema Italiano " di Poggio Mirteto e ora “Sottodiciotto Film Festival & Campus” che si svolgerà a Torino dal 16 al 23 marzo. Dal 2006 al 2013 crea e presiede la Torino Film Commission considerata uno dei più importanti promotori e finanziatori del cinema italiano. Ma la sua verve di grande divulgatore si esprime anche come scrittore, conduttore e autore radiofonico e televisivo (dal 1994 è voce storica di Hollywood Party, la celebre trasmissione radiofonica di Rai 3)  e regista. Ha realizzato diversi documentari tra cui Anni luceUomini forti , Flaiano: il meglio è passato, I Tarantiniani,  firmato assieme a Maurizio Tedesco. (nastro d’argento 2014) Perché sono un genio! sulla vita di Lorenza Mazzetti e “Nessuno ci può giudicare ”  con la coregia di Chiara Ronchini.

 

STEVE DELLA CASA sottodiciotto
 

Critico, conduttore radiofonico, direttore di festival, regista. Qual è tua vera passione?

La mia passione è il cinema in generale ma la radio è il luogo in cui mi trovo più a mio agio. Mi piace saltare di palo in frasca. Fare sempre la stessa cosa mi annoia.

 

Torino, la tua città e anche la città del cinema…

Si, anche se ultimamente il fermento culturale è un po’ in ribasso. Dopo la stagione olimpionica la città ha perso un po’ di verve. A Torino il cinema non si fa ma si studia, soprattutto, si approfondisce la cultura cinematografica.

 

“Sottodiciotto Film Festival & Campus”. Perché hai accettato di dirigere questo festival?

Volevo mantenere un legame con la mia città dopo aver fatto tutto: l Movie Club,  Torino Film Festival e Film Commission.

Inoltre sono affezionato a questo festival che ho visto nascere. I grandi festival non hanno più identità e mi intrigava cimentarmi con un piccolo festival che vive sul territorio e si rivolge ad un pubblico giovane.

 

 

Perché un’ edizione omaggio alla cultura Hip Hop?

La scelta è stata dettata dal bisogno di un passaggio generazionale. Forse questa sarà la mia ultima edizione perché intendo  passare il testimone ad Enrico Bisi un giovane che ha realizzato “Numero Zero”, un bel documentario sul rap italiano dalle origini e l’Hip Hop.  Amo questa cultura perché è zeppa di contaminazione con altre arti ed è trasversale da più generazioni. Basti pensare che anche  Spike  Lee ne è un grande estimatore e che la sua genesi prende vita alla fine degli anni 80 nei ghetti americani per espandersi poi  subito espansosi nelle periferie di tutto il mondo.

 

Da qui scaturisce l’omaggio ai Manetti Bros?

In primo luogo sono miei amici e li reputo gli artisti più talentuosi del panorama italiano degli ultimi anni. Stanno raccontando in maniera sempre più audace la società italiana in tutti i suoi aspetti, riservando un posto d’onore alla musica. A comprovare questa opinione è l’incetta di candidature che hanno avuto quest’anno per i David di Donatello con il loro ultimo film Ammore e Malavita” che omaggia il musical neomelodica partenopeo.  

 

Hai un altro documentario in cantiere?

Sto lavorando ad un altro documentario. Si chiamerà  “Bulli e Pupe”, il prequel  di Nessuno ci può giudicare, che ripercorreva la nascita e lo stravolgimento dei cosiddetti musicarelli. Sono ancora in fase di ricerca delle immagini presso gli archivi storici ma deve necessariamente  essere pronto entro il 30 giugno per poter partecipazione ai festival più importanti come Locarno o Venezia.

 

C’è chi dice che in Italia ci sono troppi festival cinematografici. Che ne pensi?

Il problema dei festival è che non sono indispensabili per quanto attiene all’offerta di film. Quando ero ragazzo mi facevo sette ore di treno fino a Pesaro perché sapevo che se avessi perso i film che proiettavano non avrei avuto più la possibilità di vederli. Oggi tutto è cambiato grazie alla tecnologia.  Attraverso la rete possiamo cercare e vedere quasi tutto. Inoltre i festival non hanno più la forza per lanciare un film.

 

Cosa bisogna fare?

I festival devono cambiare pelle, diventare luoghi di incontro, macchine che producono eventi unici, imperdibili. Devono dare una ragione alla gente per uscire di casa, convincerli che se non andranno al festival perderanno qualcosa di unico ed irripetibile.

 

Il festival di Roma negli anni è stato molto criticato…

In realtà è uno meno peggio  perché ha creato eventi collaterali come il mercato del film che permette l’incontro fra produttori e filmakers o le masterclass con i cinefili.

 

I premi servono ancora a tenere vivo il cinema?

Purtroppo non sempre riescono a spingere i film verso il pubblico.  Ci sono  film che hanno vinto premi prestigiosi a Venezia o in altri grandi festival e non sono stati distribuiti  nelle sale.

 

Qual è lo stato di salute del cinema oggi?

Per restare vivo il cinema si deve “teatralizzare”, ovvero creare intorno al film una serie di iniziative che lo valorizzino. Ad esempio con una presentazione evento che magari, con ospiti illustri riesca a creare un appeal per attrarre la gente in sala . In questo senso si stanno muovendo le distribuzioni che fanno uscire film cult per solo due giorni al cinema richiamando spettatori che hanno un’opportunità unica di vedere pellicole rare. Un caso recente è il bellissimo documentario “Eric Clapton: Life in 12 Bars” di Lili Fini Zanuck distribuito al cinema da Lucky red.

 

Hai creato degli eventi in questo senso?

Si, per il lancio del mio documentario Nessuno ci può giudicare ” ho fatto venire Rita Pavone dalla Svizzera ed è stato un successo.

 

Che genere cinematografico prediligi?

Mi sono laureato  con una tesi sul western americano degli anni cinquanta ma adoro anche il genere horror.  Nel 74 nel cineclub Movie Club  di Torino ho proiettato Dracula il vampiro,un film del 1958, diretto dal regista Terence Fisher.

 

Sei stato un talent scout durante tutti questi anni di carriera cinematografica?

 

Sono stato io a scoprire Jane Champion portando al Torino Film Festival i suoi cortometraggi. Prima di allora nessuno la conosceva in Italia. Inoltre ho premiato “Incantesimo napoletano” il primo cortometraggio di Miniero e Argentero nella rassegna “Arcipelago” perché avevo capito la potenzialità di questi autori.

Ho creduto in Mimmo Calopresti che è di Torino e l’ho presentato a Nanni Moretti che ha recitato per lui ne “La seconda volta”.

 

Hai qualche rammarico?

Si, non aver selezionato nel 1987 il per Torino Film Festival “Amleto si mette in affari”, il primo film di Aki Kaurismäki  Un bel film dove Aki dà una interpretazione 'anticapitalistica' di Shakespeare. Era l’ultimo film da visionare, era un po’ lungo e forse ero stanco così non l’ho capito e non l’ho scelto.

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