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Culture
Il giovane favoloso su Rai Tre. Riscoppia la polemica

Di Antonio Magliulo

 

Dopo essere stato riproposto su Rai 3, “Il giovane favoloso”, il film di Martone su Giacomo Leopardi, è tornato al centro di un vivace dibattito. Le opinioni sulla pellicola sono per lo più positive, riconoscono al regista partenopeo il merito di aver compiuto un’operazione mai tentata prima, quella di portare sullo schermo un personaggio autorevole, sfaccettato e complesso.

I pareri negativi parlano invece di “regia piatta”, “sequenze lente e raffazzonate”, “didascalismo stucchevole” ed altri analoghi difetti.

Qualcuno, fra i denigratori più severi, ha stroncato l’opera tout court, definendola “inutile e noiosa”, affermando per altro che il protagonista, Elio Germano, ha fornito un’ interpretazione scialba e macchinosa.

Ma l’accusa più grave mossa a Martone è aver dipinto un Leopardi scolastico e stereotipato, mentre si sarebbe voluto che lo si approfondisse, per poterne ricostruire uno più articolato e veritiero.

Dissento da tali critiche, non fosse altro perché, grazie a Martone, Leopardi è uscito finalmente dalle antologie scolastiche ed è diventato accessibile alle masse.

Nell’ era dell’ hi-tec, nella quale la maggior parte dei giovani è assorbita da ben altro che la poesia, divulgare un protagonista culturale dell’Ottocento è già un merito in sé - dunque ben venga il didascalismo - ma il regista partenopeo ha fatto di più, ha indagato la dimensione emotivo-affettiva di Leopardi, tratteggiandolo con "delicatezza", senza mai rimarcare i suoi difetti fisici, per servirsi del ruffianesco mezzo del pietismo. Nel film infatti il poeta si mostra pronto a respingere con dignitosa fermezza ogni maliziosa allusione ai suoi malanni. 

Ciò nonostante, tra gli appunti rivolti a Martone c’è quello di aver parlato poco dello Zibaldone e delle Operette Morali, che meglio designano il Recanatese, preferendo relegarlo nello stereotipo del giovane indeciso, sofferente e tormentato.

Secondo costoro, egli non andrebbe schematizzato attraverso formule semplicistiche e sorpassate, né andrebbe dipinto come pessimista a oltranza; e a riprova di questa convinzione additano il suo fervore intellettuale ed invocano il fatto che soltanto una volta nei suoi scritti, nello Zibaldone, ricorre la parola “pessimista”.

Francamente, simili accuse lasciano alquanto perplessi, giacché Martone ha dipinto sì un personaggio malato, ma non debole e remissivo. Questi infatti rivela un intelletto non comune ed appare in grado di difendere con forza e arguzia le proprie convinzioni; la sua insicurezza non sta nel confronto dialettico con gli intellettuali del suo tempo, ma nella consapevolezza dell' infelicità cui sono destinati gli uomini.  Il Leopardi di Martone incute persino un certo timore nei suoi interlocutori, a causa delle proprie idee controcorrente.

C’è un'altro importante motivo che fa vacillare l’ appunto più importante mosso alla pellicola: da tutte le opere del poeta emerge in modo chiaro e inequivocabile che egli era dominato da un forte scetticismo verso la vita, l’amava intensamente, ma ne era costantemente deluso.

Leopardi riteneva, in sintesi, che tutta la storia del genere umano è segnata dal dissidio fra natura e ragione. La prima cela la verità, mentre la seconda cerca di svelarne i  tristi risvolti. 
Il conflitto nasce dunque tra queste due circostanze: il desiderio di felicità che alberga in tutti gli esseri umani e l’impossibilità a conseguirla.

Questo aspetto è ben presente nel film ed è rilevabile quando la macchina da presa indugia sugli aneliti di vita fanno brillare gli occhi al giovane poeta, aneliti che però vengono vanificati dalla realtà, una realtà dura, dolorosa e frustrante.

Nelle varie sequenze scorgiamo spesso Giacomo alla finestra, intento ad osservare la propria dirimpettaia, le carrozze, i passanti, insomma il fluire della vita quotidiana, vita nella quale non riesce a calarsi totalmente, sia per gli acciacchi, sia per il suo pessimismo, che gli fa considerare caduca e illusoria ogni gioia.

E’ da questo stato d’animo che deriva la cosiddetta teoria del piacere, secondo la quale il piacere è sempre desiderato, ma mai posseduto, perché effimero e sfuggente. Ne consegue quel sarcasmo  spesso presente negli scritti leopardiani, volto a smorzare gli ingenui entusiasmi illuministici.

Per il resto, la storia di Martone si dipana fra studi, meditazioni e testimonianze d'amore e d'amicizia. Il legame di Giacomo con Antonio Ranieri è descritto in modo equilibrato, senza forzature biografiche o concessioni al pettegolezzo.

Talvolta, il poeta recanatese appare intento a declamare versi, gli stessi versi profondi e musicali che hanno incantato e incanteranno il mondo per l'eternità. Sono questi i momento più toccanti della pellicola.

E' un uomo davvero favoloso il Leopardi del regista partenopeo, un individuo dotato d'intelligenza pura, che sa guardare oltre il proprio tempo, anticipando il malessere e i grandi temi del romanticismo.

Sembra davvero strano che alcuni spettatori siano rimasti delusi per non aver rinvenuto nel lungometraggio il "rivoluzionario” o addirittura “il vate di sinistra”, un Leopardi in realtà mai esistito, ma etichettato così da qualche esegeta a caccia di novità che, per suffragare la sua tesi, si è appigliato al passaggio de “La ginestra”, in cui l'autore esorta gli uomini a ricongiungersi in pietosa fraternità contro la malevola e misteriosa forza della Natura: “…tutti fra se confederati estima

 gli uomini / e tutti abbraccia con vero amor / porgendo valida e pronta ed aspettando aita / negli alterni perigli e nelle angosce / della guerra comune”

L'intuizione che ispirò tale passaggio è sicuramente felice, perché sfiora il tema della fratellanza universale, ma troppo vaga per diventare un ideale organico e far parlare di una svolta nel pensiero leopardiano che  - formatosi in un contesto retrivo che disconosce il potere del popolo e non ammette cambiamenti repentini - rimarrà attestato su uno scetticismo amaro sino alla fine.

Altro appunto da respingere è quello che riguarda la prestazione di Elio Germano, giudicata poco convincente. L’attore romano, segnalatosi già in precedenti pellicole, ha fornito un’interpretazione lodevole, fatta soprattutto di gestualità, ed è riuscito a esprimere con gli occhi un'ampia gamma di stati d’animo, risultando a tratti commovente.

Martone, da parte sua, ha affrontato un'impresa titanica, riuscendo a confezionare una storia intensa e verosimile, svolta attraverso immagini nitide e suggestive, improntate sicuramente alla sobrietà della pittura ottocentesca e accompagnate da musiche adeguate, per quanto a tratti "ardite". 
Se alla fine ha ceduto all’ aneddotica spicciola (episodio dei taralli e quello della visita al lupanare) l’ha fatto per regalare allo spettatore medio uno spaccato di vita ordinaria che riguardasse l'uomo e non l’intellettuale.

Pure le lamentele sulla lentezza del film sono infondate, in quanto, per ricreare un’atmosfera d’ambiente rigorosa e attendibile, occorreva dilatare il ritmo dell'azione e tornare al passato, quando il tempo non era certo frenetico come quello attuale, ma scandito dalle regolate abitudini di un piccolo borgo rurale.

Martone, in definitiva, ha svolto un lavoro egregio e meritevole, tratteggiando un personaggio capace di scavalcare il proprio tempo e proiettarsi nel futuro, rammentandoci inoltre che nelle sue opere si ritrovano le radici dell’odierna civiltà.

 

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