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Culture
Il razzismo è inevitabile. Ecco perché

 

Il razzismo ha ben poco a che vedere con la razza. Basti vedere che se ne parla a proposito degli ebrei e gli ebrei non sono una razza. Sarebbe bene non ripetere questo errore scientifico (e tragico) del XX secolo.

Qualcuno nega l’esistenza delle razze perché tra un norvegese e un senegalese non c’è un salto, ma un digradare dalla colorazione della pelle, andando a nord a sud. Cionondimeno, dal punto di vista della gente normale, un norvegese è un bianco e un senegalese è un nero. Che poi questo abbia importanza o no è del tutto secondario.

I problemi cosiddetti “razziali” si hanno in qualunque società un gruppo di abitanti sia sentito come “diverso” dalla maggioranza. La differenza può essere il colore della pelle, la religione, o perfino soltanto la lingua (come in Belgio): ciò che conta è che si possa distinguere un “loro” e un “noi”.

La prima cosa da dire che – malgrado ogni pregiudizio buonista o politically correct – i gruppi non si equivalgono sempre. L’equivalenza “a priori”, fondata sulla comune natura umana o sulla parità di diritti costituzionali di fatto vale poco. Sia Berlusconi sia io abbiamo uguale diritto a comprare una Lamborghini, soltanto che Berlusconi ha i soldi per comprarla ed io no. Di questa differenza bisogna tenere conto.

Quando parliamo di “new-comers”, nuovi venuti, spesso si tratta di gruppi effettivamente inferiori. Non geneticamente, semplicemente perché gli emigranti sono quelli che non sono riusciti a cavarsela nel Paese di provenienza. Negli anni Cinquanta a Torino i meridionali che emigravano per lavorare alla Fiat erano disprezzati ed evitati come la peste. Lasciamo da parte qualunque giudizio morale o sociale: il fatto è che dal Sud italiano non emigravano certo gli ingegneri, i professori e i laureati in medicina. In certi quartieri della loro stessa città I catanesi “distinti” a momenti andavano col casco coloniale ed era proprio da quei quartieri (o dal fondo delle campagne) che partivano i più sfortunati. Negare questi fatti non serve a niente. La verità è sempre al prezzo della verità.

Non posso del resto dimenticare un’esperienza di segno opposto. Quel gatto di Kensington, a Londra, che si lasciò placidamente accarezzare, per strada. Gli dissi allora: “Si vede che vivi in una città più civile della mia. Nella mia, vedendomi avvicinare, saresti scappato”.

Gli schiavi americani erano indubbiamente vittime di una delle peggiori violenze che si possano immaginare, ma rimane vero che erano praticamente dei selvaggi incolti, sideralmente lontani dai ricchi proprietari del Sud. Il loro gruppo era oggettivamente inferiore e l’umanità è una genia crudele, che non fa sconti. Anche quando la schiavitù è stata abolita e anche quando molti negri sono emigrati verso città poco razziste, come New York, la loro concentrazione nei quartieri faceva crollare il prezzo degli immobili. Che si possa deprecare vivamente tutto ciò, la realtà non cambia.

La conclusione è che, dove ci sono gruppi minoritari, si ha un problema, almeno finché non si abbia (quando si ha) una totale integrazione. I nipoti dei “selvaggi” Lo Cascio o Esposito, a Torino, sono dei torinesi come gli altri, perché sono partiti come bianchi fra i bianchi, cattolici fra cattolici, italiani fra italiani. Mentre in Francia i magrebini musulmani, anche se francesi di nazionalità, rimangono degli “Arabes”, e sono sentiti come “diversi”.

Il problema dei gruppi a volte si risolve col tempo (Torino), a volte non si risolve nemmeno molti decenni dopo (Francia e Stati Uniti). Questo significa che la vera risposta è evitare che il problema sorga. I rumeni che immigrano in Italia sono bianchi, cristiani, e fieri della loro lingua neolatina. I loro figli e nipoti saranno italiani come gli altri. Ma i figli e i nipoti dei senegalesi rimarranno diversi e questo costituirà un problema, anche per loro. La risposta morale e culturale è bella e desiderabile, ma non tutti sono disposti a darla e comunque funziona – quando funziona – dopo molti decenni. Né vale di più la risposta legale. Dichiarare tutti i cittadini uguali dinanzi alla legge conta poco, quando ci si presenta per prendere in locazione una casa. Perché se la nostra faccia non piace al proprietario, nessuno può obbligarlo a darci la chiave dell’appartamento.

Inoltre, finché il gruppo allogeno rimane piccolo, le discriminazioni sono odiose ma non turbano l’ordine sociale. Quando invece il gruppo allogeno diviene notevole (dicono: quando supera l’8%) la maggioranza - come spesso avviene composta da stupidi - si sente in pericolo e si possono verificare episodi di violenza criminale. Si pensi al Ku Klux Klan. E si pensi al recente episodio di Macerata. Quell’imbecille, sparando per la strada a persone innocenti e pacifiche soltanto perché scure di pelle, si sente un eroe, un protettore della stirpe italiana e della Patria. Lui personalmente merita una pesante condanna per tentato omicidio plurimo, ma ciò non impedisce che il suo gesto abbia un valore di sintomo. Chi non vuole tenerne conto, preferisce l’ideale e dice che tutti gli uomini sono fratelli. Il messaggio della realtà è invece che ogni gruppo minoritario inassimilabile prima o poi crea un problema insolubile

giannipardo@libero.it

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razzismo





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