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Culture
La peste di Giustiniano, tra memoria e cultura odierna

La peste di Giustiniano — È convenzione che l’Antichità finì grosso modo attorno al 500 d.C. per diventare invece “Medioevo” o, come si preferisce oggi, “Pre-moderno”… In termini politici, la nuova epoca si fa partire dal 476 d.C. con la caduta dell’Impero romano d’Occidente, ma è una data scelta  dopo, per interrogare gli studenti. Il crollo demografico, la deurbanizzazione e il declino del potere centrale, come anche le invasioni barbariche, erano in corso da tempo.

Se però la metà del millennio resta nella mente degli studiosi, è perché coincide elegantemente con altri eventi e fenomeni che sembrano segnare una fine e un’inizio sorprendentemente netti. Il perché di queste “coincidenze” è molto dibattuto. Le spiegazioni offerte tendono a portare acqua a tante diverse correnti ideologiche e religiose. Forse per trovare una causa “naturale e neutra”, l’attenzione degli storiografi è fissata da qualche decennio sulla “Peste di Giustiniano”

Si tratta di una grave pandemia che ebbe luogo nei territori dell'Impero bizantino tra il 541 e il 542 sotto il regno dell'imperatore Giustiniano I (527-565). La causa fu una sorta di antenato dello stesso batterio, Yersinia pestis, la “Peste Nera”, che colpì l’Europa quasi mille anni più tardi. Secondo lo storico Procopio, al picco la pandemia mieteva diecimila morti al giorno nella sola Costantinopoli. Gli storici moderni sono più cauti, ma la proiettano aldilà della capitale bizantina, arrivando ad immaginare la morte di tra un quarto e la metà della popolazione mediterranea—tra i 50 e i 100 milioni di persone—con un enorme impatto sociale e storico.

Si è ipotizzata un’influenza sulla Guerra gotica (535-553) in Italia, con l’indebolimento della resistenza agli invasori. Roma, nel 546, rimase completamente senza abitanti per mesi:  una  circostanza  attribuita  dal  solito Procopio alla deportazione dei pochi sopravvissuti ai combattimenti e all'epidemia.  Vinsero  i  bizantini, che però non trovarono più le risorse per opporsi alla successiva invasione longobarda.

Tutto molto lineare, molto razionale. Il problema è che non si trovano tracce di tutti quei  morti  appestati. Si è detto che forse erano talmente tanti che non si riusciva a seppellirli e i cadaveri furono semplicemente abbandonati all’aria aperta.

Ora una nuova ricerca: “The Justinianic Plague: an inconsequential pandemic?”, apparsa su Proceedings of the

National Academy of Sciences, analizza le prove archeologiche e trova che sono in forte contrasto con la limitata documentazione testuale (perlopiù Procopio!) sulla quale si basano molti storici riguardo all’impatto della pandemia: “Concludiamo che le precedenti analisi della mortalità e gli effetti sociali della peste siano esagerate. Le prove non-testuali suggeriscono che la peste non abbia giocato un ruolo significativo nella trasformazione del mondo mediterraneo e dell’Europa”.

I ricercatori hanno esaminato dati relativi all’ evoluzione dell’utilizzo dei terreni agricoli bizantini. Non c’è traccia dell’abbandono che la perdita di un quarto della popolazione avrebbe provocato. Non c’è nessun aumento nell’incidenza di sepolture multiple. Gli egiziani—depositanti di papiri su di tutto— non citano la peste devastante. I siti archeologici dimostrano che la circolazione della moneta durante il periodo è rimasta stabile. Il prezzo dell’oro anche—come pure la produzione legislativa...

La peste di Giustiniano colpì sicuramente dei grandi centri come Costantinopoli, ma non cambiò bruscamente la storia del Mediterraneo e del Mondo. Forse si deve tornare a dare la colpa ai cristiani...

 

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