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Libri: "Nel nome di chi", parla la madre del jihadista del London Bridge

Sconfitto sul terreno nelle sue roccaforti in Siria e in Iraq, lo 'Stato islamico' non e' definitivamente scomparso: ad alimentare la violenza e il terrore dell'esercito nero di Al Baghdadi c'e' quell'ideologia malata che forza l'interpretazione dell'Islam, trasformandolo nel marketing della barbarie e convincendo ragazzi apparentemente innocui a vestire i panni di assassini spietati. Se e' impossibile individuare un unico fattore in grado di spingere giovani meno che ventenni a intraprendere la rotta del terrore verso i territori del sedicente Califfato, si puo', invece, osservare e descrivere i profili degli attentatori che in questi anni hanno sconvolto l'Europa, individuandone alcuni punti in comune. Questo e', tra gli altri, l'obiettivo di "Nel nome di chi" (pubblicato oggi da Rizzoli, 254 pagg.), scritto da Brahim Maarad (giornalista, collaboratore di AGI) e Valeria Collina, la madre di Youssef Zaghba, uno dei responsabili dell'attentato che il 3 giugno scorso fece a Londra 8 morti e 48 feriti.

Youssef Zaghba era un ragazzo come tutti gli altri. Nato in Marocco, da padre marocchino e madre bolognese convertita all'Islam, ha trascorso la sua adolescenza dedicandosi agli studi e alle amicizie. A vent'anni si affaccia sul mondo nero del sedicente Stato islamico. Vorrebbe essere un 'musulmano pio', ovvero che osserva alla lettera i dettami della sharia, ma in Marocco sente di essere esposto a troppe tentazioni. A queste e' difficile resistere. L'unica soluzione, per Youssef, e' andare a servire il vessillo di Al Baghdadi e cosi' costringersi a essere un fedele praticante. Ci prova una prima volta nel marzo del 2016, presentandosi al gate dell'aeroporto di Bologna con in mano un biglietto per Istanbul. Al poliziotto che gli chiede cosa stesse andando a fare li' risponde molto semplicemente: "Il terrorista". Si corregge poi in "turista", ma l'allarme e' gia' scattato. Sua madre viene avvertita, e anche lei chiede che sia trattenuto: lei sa che Youssef vorrebbe diventare miliziano dell'Isis. Il giovane e' rilasciato, ma l'indagine su lui resta aperta.


 

nel nome di chi
 

Libri: "Nel nome di chi", parla madre di jihadista London Bridge



Qualche mese dopo parte per Londra. Qui incontra due ragazzi, due come lui, e comincia la discesa verso l'abisso: la sera del 3 giugno scorso i tre cercano di investire chiunque si trovi sul London Bridge, e poi, scesi dall'auto, di accoltellare i sopravvissuti: otto minuti di follia omicida prima di essere abbattuti dalle forze speciali inglesi. Due settimane prima Youssef era in compagnia di un amico "al mare, vicino a Dartfort", come afferma lui stesso in un filmato pubblicato in esclusiva dall'AGI. Youssef muore su quel ponte, ma la storia della sua vita, di come e perche' e' arrivato sul London Bridge, e' ancora da raccontare. E' la madre, Valeria Collina, a ripercorrere con l'autore del libro tutte le tappe della vita del figlio, per individuare il momento in cui e' scattato cio' che glielo ha fatto perdere. E di segnali ve ne sono stati tanti e, forse, sottovalutati. Primo fra tutti il ruolo del padre: Youssef e' cresciuto in una famiglia costruita su un Islam rigido, interpretato da un genitore rude e spesso violento. In casa la televisione non era ammessa perche' "finestra sul peccato".

Unica eccezione: l'11 settembre 2001, per poter rivedere il piu' possibile quegli aerei che si schiantano sulle Torri Gemelle di New York e esultare ogni volta gridando "Allahu Akbar". Youssef, all'epoca un bambino di sette anni, non puo' che restarne colpito. Uno dei suoi disegni raffigura, invece della solita casa con l'albero, le due torri e l'aereo che le ha buttate giu'. Crescendo, Youssef incontra Internet, dove circolano i filmati dei combattenti ceceni e quelli del vicino di casa che si arruola con i talebani finendo a Guantanamo. Il jihadismo ha sempre fatto parte della vita di Youssef, senza che dovesse entrare in carcere o frequentare moschee "estremiste". La radicalizzazione, sembra dirci questo libro, puo' essere 'passiva', e arrivare anche da un vissuto quotidiano apparentemente normale. "Ogni sera - si confida Valeria, madre di Youssef - mi fermo a riflettere su cio' che avrei potuto, o dovuto, affrontare diversamente. Il passato non si puo' correggere, certo, ma devo almeno capire quando e' avvenuto questo cortocircuito nella vita di mio figlio".

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