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Marx idealista. Per una lettura eretica del materialismo storico

Il pensiero di Marx può essere interpretato come il compimento della filosofia dell’idealismo tedesco? In questi saggi Diego Fusaro analizza l’ontologia marxiana al di là delle apparenze e dei luoghi comuni proposti dal marxismo classico, per rintracciare i punti di consonanza non immediatamente evidenti tra il pensiero del filosofo tedesco e le modalità avanzate dall’idealismo classico. 

Ciò che emerge è un conflitto a tratti paradossale: da una parte, la volontà manifesta di abbandonare l’idealismo hegeliano, dall’altra, l’effettivo permanere di Marx su questo terreno.

L'Autore

Diego Fusaro (Torino, 1983) è un saggista e filosofo italiano. Insegna storia della filosofia presso lo IASSP di Milano (Istituto Alti Studi Strategici e Politici). Studioso di Marx, Spinoza, Hegel, Fichte e Gramsci, è il curatore del sito internet Filosofico.net e, dal 2015, cura un blog per la versione online de “Il Fatto Quotidiano”. Ha pubblicato numerose opere, tra le più recenti si ricordano: Il futuro è nostro. Filosofia dell’azione (2014), Antonio Gramsci (2015), Pensare altrimenti (2017), Storia e coscienza del precariato (2018), Il nuovo ordine erotico (2018). Con Mimesis ha pubblicato: Europa e capitalismo (2015).

Marx idealista. Per una lettura eretica del materialismo storico
Diego Fusaro
Editore: Mimesis
Collana: Eterotopie
Anno edizione: 2018
In commercio dal: 15 novembre 2018
Pagine: 312 p., Brossura

marx idealista 2
 

Premessa

Lo spettro che sempre ritorna
Non siamo eredi solo di Saint-Simon, Fourier e Owen, ma anche di Kant, Hegel e Fichte. (F. Engels, L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza).
I saggi raccolti in ordine sparso in questo volume presentano alcuni dei risultati delle ricerche che in questi anni sono venuto svolgendo intorno alla figura, al pensiero e all'opera di Carlo Marx.

Sono, per lo più, da considerarsi come le disiecta membra di un corpo in sé unitario — quello di Marx come pensatore, appunto —, che qui abbiamo provato a interrogare e ad analizzare in singoli aspetti, vuoi prendendo in esame specifici nuclei concettuali della sua elaborazione, vuoi riattraversando alcuni luoghi centrali della sua opera (Manifesto, Capitale, Ideologia tedesca, ecc.), vuoi perlustrando il rapporto da lui intrattenuto con altri filosofi (Fichte, Hegel, Stirner) o quello che con lui hanno stretto alcuni autori venuti dopo (Gentile, Heidegger).

A duecento anni dalla nascita, dopo il "secolo breve" dei comunismi al plurale e le più o meno eterodosse incarnazioni che dello "spettro" annunziato nel 1848 dalle pagine incendiarie del Manifesto si sono registrate tra lacrime e sangue, non si può certo asserire che sia prematuro tentare di tratteggiare un bilancio sull'eredità metafisica e politica del pensiero di Marx.

Per quanto sia arduo, in generale, nel campo della storia del pensiero filosofico-politico e, a maggior ragione, con un autore del tutto sui generis quale è Marx mantenere un profilo teorico equilibrato e non coinvolto emotivamente, a giusta distanza tra i due opposti complementari dell'elogio apriorico e dell'apriorica condanna, l'obiettivo che i presenti saggi si propongono consiste nella presentazione di alcuni nuclei filosofici dell'opera marxiana in grado di gettare luce sul suo complessivo impianto di pensiero: e questo nel tentativo di fare emergere, anche da prospettive meno immediatamente note e da piste ermeneutiche meno battute dalla Marx-Forschung, quello che, secondo quanto già provammo a mostrare nei nostri studi Bentornato Marx! (2009) e Idealismo e prassi. Fichte, Marx e Gentile (2013), coincide con il cuore metafisico del pensiero marxiano.

Quest'ultimo, come cercheremo di lumeggiare nella costellazione dei pur tra loro eterogenei saggi che compongono il presente volume, deve essere identificato con la marxiana metafisica idealistica centrata su un'originale ridefinizione della concezione hegeliana della Totalità concreta (das Wahre ist das Ganze) e della fichtiana filosofia della praxis (l'Io ponente il non-Io). La volontà, esplicitata senza perifrasi nelle pagine dell'Ideologia tedesca, di "abbandonare il terreno della filosofia" e, segnatamente, quella dell'idealismo hegeliano presso cui si era formato, produce, nel pensiero e nell'opera marxiana, un effetto a tratti paradossale: Marx aspira a prendere congedo dall'idealismo e, insieme, continua stabilmente a permanere sul suo terreno. Desidera portare a compimento il redde rationem con Hegel e, al tempo stesso, sempre rimarrà "allievo di quel grande pensatore".

A suffragarlo sono, inter alfa, il persistente riferimento alle categorie più schiettamente hegeliane, dalla Totalità come Intero concreto storicamente determinato alla dialettica come concezione eraclitea del divenire contraddittorio degli essenti e delle figure storiche. La stessa ontologia marxiana, se analizzata al di là delle apparenze e dei luoghi comuni del marxismo classico, animato da una sempre ribadita fobia anti-idealistica, si presenta oltremodo prossima, per contenuti e modalità, a quella dell'idealismo classico, precipuamente nelle sue formulazioni fichtiane e hegeliane.

Per Marx, come per Hegel, la realtà è Wirklichkeit, non Realitdt: è processualità storica diveniente, nel cui ritmo, intessuto di alienazioni e disalienazioni (l'alienazione e la sua restituzione" dell'hegeliana Fenomenologia dello Spirito), l'umanità come Soggetto indiviso diventa consapevole di sé e della propria identità con l'Oggetto, con il mondo obiettivo della produzione e dello scambio, delle norme giuridiche e dei nessi economici.

Quest'ultimo cessa di essere pensato come morta Realitat o, con la sintassi del Capitale, come "solido
cristallo" che sta dinanzi a noi e chiede di essere accertato e accettato, secondo il modus dell' Anschauung criticato, in riferimento a Feuerbach, nelle undici Thesen. E prende, au contraire, a essere inteso come obiettivazione pratica della prassi del Soggetto, come cristallizzazione storica del suo agire: che, proprio in quanto posta, può sempre da capo essere trasformata per il tramite della praxis. In ciò sta l'identità dialettica, che Marx mutua dall'idealismo, tra Soggetto e Oggetto: i quali cessano di figurare come res autonome e contrapposte e prendono a essere intesi, a partire dalla svolta transzendentalphilosophisch avviata da Kant, come poli di una relazione dialettica e, dunque, come esistenti nella intrascendibile relazione soggetto-oggettiva che li lega.

È su queste basi, d'altro canto, che i Manoscritti parigini del 1844 celebrano Hegel e le sue conquiste teoriche, che Marx assimila e alla cui luce, ancora ai tempi di Das Kapital (e, dunque, ben al di là di ogni presunta "rottura epistemologica" di althusseriana memoria), potrà definirsi come Schiiler, come "allievo" di quel grande pensatore, già da tutti messo in congedo e divenuto un "cane morto" precipitato nell'oblio.

La scoperta hegeliana dello Spirito come storia e come prodotto del suo stesso lavoro, come attività di posizione di sé e di ritrovamento di sé nell'assoluta alterità, ossia la concezione della Sostanza come Soggetto (così nella Fenomenologia dello Spirito), è ciò che Marx metabolizza e rideclina in forma rivoluzionaria con la sua concezione materialistica della storia. Tale è la cornice teorica dei testi giovanili, ma poi anche lo sfondo concettuale, spesso non esplicitato, dei testi della maturità, dai Grundrisse a Das Kapital.

Solo secondo questa chiave ermeneutica, del resto, si può intendere appieno e in tutta la sua portata
theoretisch l'undicesima delle Thesen, da leggersi non già — con Althusser — come un esodo dal campo della filosofia, bensì come una ripresa del fichtiano idealismo in quanto filosofia che accorda operativamente l'Oggetto al Soggetto, il mondo alla ragione rivoluzionaria.

Se i filosofi si sono limitati a interpretare il mondo, pensato come un Oggetto dato, ora essi sono chiamati a trasformarlo, di modo che il mondo venga a corrispondere alle esigenze dell'"umanità socializzata", l'Oggetto al Soggetto, il non-Io all'Io.

Di qui discende, sul versante ontologico, la contrapposizione netta al centro della prima delle Thesen — tra una concezione contemplativa dell'oggetto come Objekt, come presenza data cui adattarsi gnoseologicamente e politicamente, e una concezione, dell'oggetto come Gegenstand, come posto e contrapposto dall'attività ponente del Soggetto.

La stessa dottrina del "modo della produzione" (Produktionsweise) rimanda in modo non larvato al nesso ineludibile di mediazione reciproca tra il Soggetto e l'Oggetto, tra l'umanità pensante e agente, da una parte, e l'obiettivo mondo delle sue materializzazioni. Come ricordano i Manoscritti parigini del 1844, la società (la struttura materiale-economica) determina le azioni e i pensieri degli uomini, ma è pur sempre essa stessa un prodotto dell'umana praxis, una sua materializzazione secondo l'ordine del tempo.
Insomma, la concezione materialistica della storia si presenta (e come tale la intendono i saggi che seguono) come una "materializzazione" del codice dialettico della metafisica idealistica, del quale Marx, volens nolens, continua stabilmente a essere allievo.

La cosiddetta "materia" a cui Marx allude, del resto, non coincide mai come ha mostrato un'eterodossa linea di interpreti che da Antonio Gramsci giunge a Costanzo Preve — con la materia della fisica, della biologia e delle scienze dell'"intelletto astratto": rinvia, invece, alla concretezza materiale dei rapporti della produzione immanenti al modo capitalistico della produzione e, dunque, alla Totalità concreta data dal nesso vivente tra la struttura e la superstruttura nell'effettivo blocco storico esistente.

Il sempre ribadito "materialismo" di Marx, in questo senso, coincide con un idealismo dialettico della Totalità concreta e della "storia universale" (Weltgeschichte), concepita come il teatro dell'emancipazione dell'umanità in cerca della piena identità con sé e con il proprio mondo obiettivo. L'identità soggetto-oggettiva messa a tema da Hegel resta il fundamentum anche della filosofia di Marx.

Abbiamo scelto di battezzare, a partire dal titolo, come "eretici" i nostri saggi su Marx qui raccolti, giacché muoviamo dalla consapevolezza che la linea ermeneutica che proponiamo, pur supportata da molte intuizioni della Marx-Forschung sviluppatasi in seno al marxismo occidentale (da Gramsci a Lukàcs, da Marcuse a Adorno, da Bloch a Preve, per citare solo gli spiriti magni della composita galassia marxologica), è destinata a porsi come dissonante, divergente, dissidente e, appunto, "eretica" rispetto al canone ermeneutico egemonico.

Quest'ultimo, nei suoi tratti essenziali, séguita oggigiorno nel leggere Marx come materialista post-
idealistico, marcando nettamente una cesura incolmabile e una distanza più o meno profonda tra il suo materialismo rivoluzionario e le diverse forme dell'idealismo arcaico, reazionario, borghese, ecc.
È esattamente contro questo locus communis ermeneutico che i presenti saggi prendono posizione e chiedono di essere letti, in continuità con il quadro generale da me delineato nel già richiamato studio Idealismo e prassi, che — insieme con Bentornato Marx! e con Minima mercatalia. Filosofia e capitalismo (2012) — potrebbe essere assunto come base teorica di riferimento per la lettura idealistica di Marx che anche nelle pagine che seguono sono venuto prospettando.

Si ripete spesso che habent sua fata libelli. Non posso, com'è ovvio, sapere quale sarà in concreto il fato a cui andrà incontro la presente raccolta di saggi scritti e pubblicati in fasi diverse della mia ricerca. Né,
forse, saperlo gioverebbe a una effettiva trasformazione dei destini, se è vero quel che ricorda il poeta: "Che giova ne le fata dar di cozzo?" (Inferno, IX, v. 97).

Posso, non di meno, auspicare che i saggi raccolti in questo volume, pur così eterogenei, giovino a una
possibile ripresa del "pluslavoro" ermeneutico, libero da dogmi e da ortodossie preordinate, intorno al pensiero e all'opera di Marx a duecento anni dalla sua nascita: e che, dunque, possano in qualche modo restituire a una libera discussione critica il "corpo" del nostro autore, finalmente liberato dalla presa delle agiografie di partito e dalle condanne aprioriche dei detrattori.

La varietà e il radicamento dei pregiudizi legati al nome di Marx mi induce, certo, a non indulgere troppo al
"principio speranza". Come sempre ricordava Preve, il messaggio è irricevibile quando il destinatario è
irriformabile. E, in effetti, le nutrite schiere, anche tra gli addetti ai lavori, dei detrattori e degli adoratori di Marx hanno in comune, accanto all'atteggiamento egualmente dogmatico e indisponibile alla libera dialogicità socratica, l'irriformabilità delle loro prospettive granitiche. Che, alla stregua del "solido
cristallo" evocato da Max, sono impermeabili alla libera discussione secondo il criterio — l'unico che dovrebbe valere nella sfera della filosofia — del logon didonai.

In particolare, presso gli animatori della Marx-Forschung, l'idea di legare Marx all'esperienza e al codice
teorico dell'idealismo in maniera si radicale da intendere lo stesso autore di Das Kapital come idealista in
senso pieno, non può che essere ritenuta eretica e, come tale, essere trattata: non discussa criticamente, ma aprioricamente accantonata; non presa liberamente in esame alla luce dei testi, ma sottoposta a una preventiva delegittimazione teoretica e politica.

La delegittimazione teoretica si fonda immancabilmente sull'assunto tautologico per cui sic et simpliciter Marx non può essere idealista. Quella politica, assai frequentemente, poggia su un sillogismo non esplicitato: Marx è rivoluzionario, Ilidealismo è la filosofia della conservazione (del nazionalisWo fichtiano e del prussianesimo hegeliano), ergo Marx non può essere idealista. Ho tentato di decostruire in maniera estesamente argomentata queste due varianti della delegittimazione apriorica di ogni lettura idealista di Marx nel mio Idealismo e prassi, al quale rinvio.

Il mio pessimismo circa la "storia degli effetti" a cui andrà incontro il presente studio presso la tribù marxologica è riequilibrato dalla tenue e sobria speranza che, invece, nutro verso i "perplessi": ossia verso quanti, senza aderire per partito preso a una lettura o a una posizione preordinata, siano disponibili alla discussione, magari facendo anche epochè, alla maniera husserliana, delle loro certezze più solide e delle loro interpretazioni più consolidate.

Solo costoro, in effetti, possono essere gli interlocutori ideali a cui rivolgersi quando si propone un'interpretazione eretica e non allineata di Marx o, più in generale, quando si vuole filosofare.

Ed è anche per questo che il presente volume è dedicato a loro: più precisamente, a tutti coloro i quali siano ancora disposti a dialogare senza pregiudizi inamovibili e senza prese di posizione insindacabili e a pensare altrimenti, vale a dire con la propria testa, secondo l'aurea norma greca del logon didonai.
 

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