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Culture
MORGANA, di Michela Murgia e Chiara Tagliaferri

Le voci di donne quali Simone de Beauvoir, Simon Weil, Etty Hillesum non sono sembrate così inascoltate leggendo “Morgana” di Michela Murgia e Chiara Tagliaferri, le cui storie di ragazze narrate certamente non solo la madre ma nemmeno il padre approverebbero. Edito da Mondadori questo libro emana fuoco, passione viva evaporata da ogni poro di pelle di donne che affascinano, a tratti spaventano, a volte divertono. La prima osservazione nata da un’intuizione interiore è che elette da Dio o dal diavolo si nasce e quando la vocazione diventa più forte di tutto anche della vita e lì che il corpo è costretto ad ascoltare l’anima e a obbedire.

 Le autrici Michela Murgia e Chiara Tagliaferri scrivono che non si tratta certo di “un catalogo di donne esemplari; al contrario, sono streghe per le donne stesse, irriducibili anche agli schemi della donna emancipata e femminista che oggi, in piena affermazione del pink power, nessuno ha infondo più timore a raccontare”. È un libro insomma, che cerca di sdoganare pregiudizi ancora presenti sulla donna e il suo corpo, alla ricerca di uno sguardo maschile per poter esistere, prive di “pensiero”. Basterebbe che al contrario, non si colga la differenza tra sguardo maschile e sguardo femminile sul reale, ma si parli unicamente di ‘sguardo umano’, di umanità. Ci sono ancora molti sentieri da tracciare. Gli stereotipi sono numerosi. Altrettanti i limiti, se si rimane ancorati a un corpo.

Nitido esempio di donne pensanti, di donne che hanno bandito ogni ostacolo sono Moana Pozzi, Caterina Da Siena, Grace Jones, esistenze che hanno ancora da insegnare. Cosa? Volontà, fiducia, forza, determinazione inoppugnabili. Leggendo “Morgana” la narrazione inchioda e non smetti, non vuoi smettere di leggere, come se fosse un atto d’amore o di sesso come preferite: un desiderio invincibile che ha mosso le vite di queste donne, come ad esempio Zaha Hadio, “la prima donna architetto a ottenere il premio Pritzker nel 2004 (l’equivalente del Nobel in architettura)”.

 Le autrici hanno saputo dare il giusto stile, il linguaggio utilizzato per raccontare storie così “peccaminose”, non si cura di appartenere a quello che un tempo si definiva “political correct”, o di essere educato. Murgia e Tagliaferri narrano come se fossero le stesse protagoniste delle storie che senti vive: sospirano, gemono, ridono con te. La stessa copertina e le foto sono significative, sembra quasi beffeggino il lettore. Pertanto, chiunque abbia preconcetti sul genere femminile, su quelle che nel Medioevo sino al Novecento venivano considerate streghe o tarantolate forse dovrebbero pensarci sì, bene, ma dovrebbero leggerlo. Insegna. Sì. Queste storie di donne temerarie insegnano. Non di certo a imporsi o a essere trasgressive, ma a comprendere quanto la propria identità, individualità, il proprio credo sia più importante di tutto, a volte anche di se stesse. E nell’odierno ai giovani, ai ragazzi, alle ragazze, agli adulti forse “Morgana” conduce il pensiero a comprendere quanto sia grande la libertà e immensa la responsabilità di saperle gestire. Giustappunto, Charlotte, una delle sorelle Brontë “rivendica la sua libertà e la sua indipendenza con ironia e chiarezza, sena timore del giudizio che susciterà” (p. 84). Per di più, balza alla mente un passo de “La casa di bambola” di Ibsen: “Ci sono due tipi di leggi morali, due tipi di coscienze, una in un uomo e un'altra completamente differente in una donna. L'una non può comprendere l'altra; ma nelle questioni pratiche della vita, la donna è giudicata dalle leggi degli uomini, come se non fosse una donna,

ma un uomo”. Ecco, il significato di “Morgana” poi è tutto qui nella capacità di non considerare le differenze in relazione al genere di appartenenza o alla sessualità che si sceglie di vivere ma di ascoltare le vite di umani, di vivere in un’umanità dove ciascuno è diverso per cultura, per esperienze, per un vissuto, e dove il limite lo stabilisce il singolo non lo impone l’altro perché le morgane irrompono, forse sono silenziose, ma sono loro a spostare l’asse di direzione della navigazione: il timoniere si sa ha coraggio e riesce ad abbattere ogni ormeggio e a salpare dove il porto è più al sicuro.

di Alessandra Peluso

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