Nelle librerie "Anja, la segretaria di Dostoevskij”, il romanzo di Manfridi
"Anja, la segretaria di Dostoevskij”, il nuovo libro di Giuseppe Manfridi, edito da “La Lepre”, dal primo novembre nelle librerie
Nel 1886, mentre iniziano ad essere pubblicati i primi capitoli di “Delitto e castigo”, Fedor Dostoevskij conosce la giovane stenografa e futura moglie Anja Grigor'evna Snitkina.
Giuseppe Manfridi, già vincitore dell'Orso D'Argento al Festival di Berlino e finalista per il Premio Strega, nel suo nuovo libro "Anja, la segretaria di Dostoevskij” ricostruisce, avvalendosi di una forma narrativa spuria, tra la biografia e il romanzo polifonico, l’incontro che tanto segnò la vita del romanziere russo.
Il tempo nel quale prende forma la San Pietroburgo di Manfridi è un’entità astante, ponderosa. La spinta narrativa invade una dimensione temporale osmotica, tra il già accaduto, il presente e l’epilogo: un tempo dell’ultimo istante, dove il passato si tramuta repentinamente in un adesso nel quale chiunque può assimilarsi a quei “cadaveri già pronti per la fossa ma ancora trafitti dal respiro”, in attesa di una fucilazione mai compiuta e, appunto per questo, atta a ripetersi innumerevoli volte.
È in questa dimensione traumatica che prende forma il rapporto di uno scrittore talentuoso con il suo modello: vi è la ricerca tutta drammatica dell’immedesimazione, un’angoscia dell’influenza che porta l’autore ad adottare un punto di vista femmineo, più che femminile, volto a carpire un legame segreto al quale non solo la voce di Anja si presta ma anche l’etimo della sua professione.
Ma Anja, lungi dall’essere descritta esclusivamente come segretaria e moglie, è innanzitutto la viva rappresentazione del racconto dello scrittore che si fa inchiostro; Il grande romanziere russo è qui indagato nelle trame intime della sua vita, diviso tra il métier d'ecrivain e di amante scandaloso; Il Dostoevskij di Manfridi è infatti uno scrittore al tramonto, vecchio, malato e epilettico che nella limpidezza di una graziosa adolescente appassionata riconosce la fedele custode della sua opera.
Un miracoloso amore nato in ventisei giorni che l’autore, tra l’altro, delle commedie Giacomo il prepotente (1989), Ti amo Maria! (1990) e La partitella (2007), decide di ripercorrere attraverso una prosa fluida, un ritmo scenico colorito, a tratti nefasto, nel quale prendono vita i dialoghi dall’indubbia ispirazione teatrale:
O non sarà forse che mi tocca scontare un peccato di hỳbris, pensa lei, facendo affiorare ricordi di tragedie greche lette a mo’ di favole quando le favole le erano consuete e, grazie a suo padre, anche Eschilo, Euripide e Sofocle le erano consueti: hỳbris, peccato di ambizione, di orgoglio, di tracotanza. Se ne è reso colpevole Edipo, ma anche Oreste, perseguitato dalle Furie. In fondo, non è stato il passo fuggitivo di Oreste a spedirla dritta a casa per cercarvi rifugio come se questo odore di lino e di legumi cotti fosse quello di una sua privatissima Atene?
Il metodo Gabelsberger, acquisito da Anja alla scuola di dattilografia e basato sullo trascrivere ogni cosa udita, persino il proprio nome se rimproverata dall’insegnante, pare essere anche l’essenza della ricerca artistica dell’autore (“La punteggiatura Maman,.. Per cortesia, vi ho spiegato, dovete dettarmi anche la punteggiatura!”) il quale nella mise en forme finale, sempre immediatamente tradotta in una mise-en-scène, cerca di trattenere tutto lo spettro dei punti di vista possibili, le voci fuoricampo e quelle più squisitamente interiori, rispettando una cadenza stenografica, fatta di pause, silenzi subitanei e improvvisi cambi di scena che trascinano il lettore nell’anticamera di uno dei scrittori e pensatori più fondamentali di sempre.
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