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Novità editoriali
Angelo Deiana (Confassociazioni): “Rilanciare l’Italia facendo cose semplici”

di Dario Tiengo

Viviamo in mondo complesso dove, per costruire una piattaforma che rilanci l’Italia, si deve provare a partire dalle cose semplici. E’ questa la tesi di un importante momento di confronto di qualche giorno fa nella sede dell’Università eCampus, organizzato insieme a Semplice Italia, un’associazione che si pone come obiettivo quello di riunirsi attorno alle idee e alle azioni di un libro-piattaforma come quello scritto da Angelo Deiana dal titolo: ‘Rilanciare l’Italia facendo cose semplici” (Giacovelli Editore). Angelo Deiana è il Presidente di CONFASSOCIAZIONI, una grande organizzazione che raccoglie 401 associazioni professionali, 132mila PMI e più di 715mila iscritti. Lo abbiamo incontrato per parlare del suo libro e della forza della semplicità.

 

Presidente Deiana, il suo ultimo libro “Rilanciare l’Italia facendo cose semplici” da più parti viene indicato come un vero e proprio libro piattaforma. Decine di proposte che possono far parte se non di un programma di governo, certamente di una riflessione profonda su dove andiamo e perché. Cosa si aspetta dal nostro Paese nei prossimi mesi?

 

Si tratta di un momento molto complesso, che va affrontato con l’aiuto di tutti. Siamo al centro di una grande battaglia globale, in cui la flebile crescita attuale è condannata a scontrarsi con il panorama rovente della guerra protezionistica che agita la competizione internazionale tra macro nazioni.

 

Ma l’Italia è comunque la terza economia dell’Eurozona e, la seconda manifattura della UE. Non è sufficiente?

 

Argomenti importanti ma che non bastano a salvarci dall’inarrestabile marea della concorrenza globale della Cina e dei Paesi emergenti. Per questo, dobbiamo accelerare il processo verso investimenti nell’istruzione e nella ricerca per favorire lo sviluppo di una industria di servizi ad alto contenuto di informazione e di lavoro cognitivo.

 

Temi che sono stati affrontati anche in passato. In cosa abbiamo mancato?

 

Finora, siamo stati troppo timidi. C’è l’orgoglio di aver costruito un Paese industriale di micro PMI diffuse che hanno espresso occupazione e creatività, pur senza avere molta ricerca o università ricche di risorse. Ma ora la situazione è cambiata. È vero che resiste un importante sistema di imprese che esportano e si rinnovano per essere competitive anche in nuovi mercati. Il problema è che si tratta di una parte comunque piccola e non determinante per lo sviluppo, se pure significativa.

 

Il modello vincente deve essere una piattaforma non più inchiodata su investimenti personali, quasi sempre basati su leva bancaria e bassa qualità del lavoro, con il 70% delle nostre PMI ancora governate dalla prima generazione. Un tempo che sta finendo quello che ancora celebriamo: il mondo di chi compete per essere, tra un po’, il più ricco del cimitero.

 

Abbiamo detto che, per rilanciare l’Italia con proposte semplici, ci sono molte azioni e scelte possibili. Ci può indicare la filosofia e alcune priorità fra le molte scelte che ha indicato?

 

Per rilanciare l’Italia serve un new deal, un nuovo orizzonte di cose semplici da fare per ritrovare il nostro pensiero felice. In quasi tutti i settori, infatti, abbiamo abdicato. Siamo andati a rimorchio ovunque e dovunque. Meglio la Silicon Valley, meglio l’ENA francese, meglio la capacità produttiva delle tigri asiatiche. Meglio, meglio, meglio. E’ ora di dire basta al “meglialtrismo” vecchia maschera del provincialismo italiano che si è trasformata nella nuova maschera 4.0 del benaltrismo.

 

E’ per questo che dobbiamo recuperare una prima capacità semplice: raggiungere una leadership culturale in tutti i settori possibili. Un sfida complessa ma sincera. Investire e non chiedere. Donare e non ricattare. Essere e non avere.

 

Poi bisogna fare. E, fra le proposte più semplici, eccone alcune: combattere l’abusivismo attraverso il mancato allaccio delle utenze, ridare liquidità alle famiglie con un fondo immobiliare sulla nuda proprietà, il wi-fi libero come misura di libertà per aumentare il PIL e la conoscenza del Paese, mettere tutta la maternità a carico della fiscalità generale per rilanciare le nascite e aumentare l’occupazione femminile.

 

Lei afferma “la speranza” è tutto ma in cosa la possiamo trovare? Sono tempi molto difficili…

 

Bisogna stare attenti la “speranza” ha un nemico subdolo che si insinua nelle cose di tutti i giorni: l’eccesso di burocrazia. La burocrazia dovrebbe essere quella parte di Stato che paghiamo per aiutare tutti a salvare tempo da dedicare alla nostra vita, individuale e sociale. E invece, nei suoi eccessi, spreca risorse e ci sottrae subdolamente il bene più prezioso: il tempo. Il tempo di crescere, progettare, investire, sviluppare. In altre parole, il tempo di vivere. Anche per questo promuovere la ricerca della semplicità assume oggi una connotazione rivoluzionaria

 

Bella la lotta alla burocrazia ma, mi permetta, è un problema del nostro piccolo cortile. Da troppo tempo non si parla nel nostro Paese di politica estera con uno sguardo globale. Che ruolo possiamo avere nel mondo?

 

Ribadiamolo ancora una volta. Siamo in un mondo nuovo, complesso, a rete dove possiamo essere di nuovo al centro del mondo, più che ai tempi dell’Impero Romano, più che nel Rinascimento.

 

La globalizzazione negli anni ’90 ha messo in moto la Cina e l’Asia che, dal 2012, hanno promosso la nuova via della Seta e spinto gli investimenti in Africa proiettandola sempre di più verso l’Europa e il Mediterraneo. E’ per questo che l’America non può ignorare la nuova crescita dell’Africa. E nemmeno il nuovo ruolo dell’Asia che, invece di guardare al Pacifico, si estende verso l’Europa attraverso il Mediterraneo. Ecco il perché della nostra ritrovata centralità: l’Italia è una grande autostrada al centro del Mediterraneo, il ponte naturale dell’Europa verso l’Asia e verso l’Africa.

 

Non siamo abituati a pensarci in questo modo…

 

E invece siamo il nuovo potenziale centro di gravità tra la Via della Seta e il continente americano e dobbiamo metterci al servizio del mondo creare pace, ricchezza e benessere per tutti. Un grande snodo culturale nel mondo futuro dell’umanesimo digitale, lo snodo di un grande incrocio di scambi tra Sud e Nord, tra Est e Ovest. Il ponte strategico di un incrocio di archi che vadano da Stoccolma a Città del Capo, da Lisbona a Pechino. Un nuovo e diverso percorso di rapporti economici, politici, culturali tra i continenti. E’ per questo che ci vogliono gli uomini “ponte”, chi individui le cose che uniscono e non quelle che dividono.

 

Uomini ponte che lei racconta con la metafora del “correre con i primi senza dimenticare gli altri”. Si iscrive fra i solidali e i “politically correct”? Non è fuori moda?

 

Domanda interessante e insidiosa, allo stesso tempo, perché il tema strategico è diverso. Nei mondi a rete, vince chi unisce e non chi divide, vince chi fa ponte e non muri. Per questo, occorre un modello di sviluppo in grado di offrire una visione d’insieme per lo sviluppo del Paese.

 

In questo mondo fatto di piattaforme ed ecosistemi collaborativi e simbiotici, come in una vera e propria staffetta non si possono dimenticare i compagni più deboli. Tanto, anche se si è più veloci e competitivi, non si può vincere da soli e, alla fine, si perde lo stesso. Ecco perché bisogna combattere l’emarginazione: un vero e proprio problema strategico in un Paese dove l’emarginazione territoriale (il Sud), quella sociale (le periferie, l’immigrazione), quella economica (la povertà) e, soprattutto quella più importante, l’emarginazione culturale (il vero inferno del millennio), sono da sempre solo problemi tattici.

 

Correre con i primi senza dimenticare gli altri è quindi una scelta strategica secondo lei?

 

Esatto. Abbiamo bisogno di un sistema che combatte strategicamente l’emarginazione, qualunque ne sia la causa, attraverso un percorso condivisivo di rete dove chi corre con i primi non deve rischiare di appiattirsi sugli ultimi. Ma aiutarli a capire perché, in questo mondo diverso, bisogna provare a dare, ognuno per la propria parte, un contributo individuale e sociale. Un atto di generosità da parte di tutti, veloci o lenti, primi o ultimi, del Nord come del Sud.

 

Lei è Presidente di un’importante organizzazione come CONFASSOCIAZIONI. Quanto ha contribuito la sua esperienza sul campo nello scrivere questo libro?

 

Una grande esperienza perché, in questo libro piattaforma fatto di tante esperienze di tante persone e professionalità, tutto questo ci ha aiutato a capire cosa sia importante dare una speranza al Paese. In altre parole: Confassociazioni è una grande rete di classe dirigente italiana, un grande specchio con il quale confrontarsi. Ascoltare le istante di queste persone, di questi professionisti, di queste imprese, vuol dire comprendere i problemi reali di chi fa rete tutti i giorni, di chi fa sviluppo, di chi supera gli ostacoli della complessità tutti i giorni ma vorrebbe trovare chi gli offre semplicità. Perché, in un mondo alluvionato da informazioni irrilevanti e fake news, la semplicità è potere.

 

Una rete complessa che, nella sua straordinaria diversificazione, offre a tutti la possibilità di capire come perseguire la semplicità sia la chiave di volta per partecipare, confrontarsi ed essere il punto di incontro tra cuore, consenso e competenze. Anche perché se la realtà è troppo complessa e fatta di troppe variabili, la verità deve per forza essere semplice. E’ inutile cercare di analizzare tutte le variabili: meglio trovare soluzioni concrete e metterle a disposizione del Paese.

 

Per chiudere cosa manca alla classe dirigente italiana e come dovrebbe essere?

 

Una cosa sola: la speranza. La speranza in un nuovo futuro del nostro Paese Come abbiamo detto, l’Italia, mai come adesso, è il centro del mondo. Ecco perché una rinnovata classe dirigente dovrebbe pensare a lungo termine e accettare di lavorare affermando l’interesse generale di tutti anche contro il proprio interesse particolare (personale, di ceto, di partito, di coalizione, di categoria, di cordata aziendale, eccetera). Per governare l’economia della conoscenza e delle piattaforme c’è bisogno di competenze professionali e manageriali a rete e in rete.

 

Questo vale per tutto, immagino, anche per la politica?

 

La politica deve trovare e comunicare consenso, ma anche proporre soluzioni manageriali che risolvano i problemi. Occorre coniugare competenza e democrazia.

 

In questo orizzonte, bisogna fare rete e coinvolgere grandi e piccoli protagonisti, con cui, a tutti i costi, fare squadra. Non più generazioni perdute ma generazioni indispensabili. Generazioni di professionisti, manager, associazioni, imprese, lavoratori, giovani e altri che portano avanti, giorno dopo giorno, le proprie cause sul lavoro, nell’impresa, nella formazione, nella cultura, per la legalità e per i diritti.  Veri e propri azionisti del Paese il cui principio fondante è uno solo: volare è bello ma atterrare è tutto.

 

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