Pierpaolo Sepe: "Metto in scena il "Freetime" di una società in declino" - Affaritaliani.it

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Pierpaolo Sepe: "Metto in scena il "Freetime" di una società in declino"

Di Oriana Maerini

 

“Il tempo libero” come found materials che prendono nuova forma in un’opera teatrale in cui le situazioni liquide dei lavoratori contemporanei e i viaggi attraverso il tempo e gli universi paralleli diventano metafore le une degli altri.

Questa, in sintesi, la trama di “Freetime” lo spettacolo scritto a sei mani da  Gian Maria Cervo e dai fratelli Presnyakov per la regia di Pierpaolo Sepe che va in scena, in anteprima assoluta, il 12 e 13 novembre al Supercinema Tuscania (VT) nell’ambito della rassegna “I Quartieri dell’Arte”.

“Freetime” adotta la serie teatrale originale di Gian Maria Cervo “Il tempo libero” ed è  stato sviluppato attraverso un “treatment” (emendato e perfezionato nel corso degli incontri) che Cervo e i Fratelli Presnyakov hanno composto durante la prima settimana di lavoro collettivo. Al centro del testo sono le paure, la solitudine, la materia oscura dell’universo, il bisogno di qualcuno nella propria esistenza di un gruppo di persone le cui relazioni ed esperienze erratiche descrivono il mondo erratico di oggi che è sempre solo a un passo dalla caduta.

Iniziando con il crollo della Lehman Brothers, ambientata nelle oscure atmosfere dell’economia contemporanea, l’opera attraversa gli ultimi dieci delicati anni di storia europea e globale. “Ho capito che per qualche strana ragione l’idea della resurrezione della carne doveva essere stata pervasiva in tutti noi. Ma c’è anche un’altra opera pittorica che per me evoca la struttura narrativa dell’opera: La deposizione di Viterbo di Sebastiano del Piombo, realizzata su cartone di Michelangelo. Lì ai piedi della Madonna si vede un bellissimo Cristo morto la cui pelle non è pallida come quella che normalmente avrebbe un cadavere. La carnagione è piuttosto scura. Sebastiano vuole rappresentare una specie di pre-fase o primissima fase della resurrezione. Quella del Cristo morto di Sebastiano è un’immagine ambigua, non si capisce se di un cadavere o di un uomo che sta risorgendo.” – con queste parole  Gian Maria Cervo spiega come, anche attraverso l’alternanza di scene cinematografiche e monologhi di storiografia critica, abbia creato  l’immagine di un’umanità cadavere che potrebbe essere sul punto di risvegliarsi ma che non può essere ancora vista risvegliata. Affari italiani ha incontrato il regista dello spettacolo Pierpaolo Sepe,  vincitore, fra l’altro, del Premio Flaiano come miglior regista teatrale e del Premio della Critica 2012 per la regia de “Le Cinque Rose di Jennifer”.

Nella sua carriera ha  esplorato molto la drammaturgia contemporanea. Come inserisce in questo contesto l’opera di  Gian Maria Cervo e dei fratelli Presnyakov?

 Avamposto irriverente. Colto e spregiudicato. Una risata beffarda e disincantata. Una lettura lucida del nostro miserabile sopravvivere, del nostro miserabile adattarci e sopportare, della nostra incapacità di ribellione e di ascesi. Basti pensare che alcuni titoli fratelli Presnyakov quali “Recitando la vittima” e “Terrorismo” hanno suscitato l’interesse delle comunità teatrali di tutto il mondo.

“Freetime” è stato già proposto all’Oslo International Acting Festival. Ha utilizzato questa esperienza per la sua regia?

 No, purtroppo non ho assistito a questa rappresentazione.

E’ un testo che parte dalle paure, dalla solitudine della condizione umana e analizza dieci anni di storia europea e globale. Qual è il messaggio che vuole arrivare al pubblico?

Che nessuno più ci vorrà bene, che nessuno farà qualcosa per noi. Che non esiste solidarietà e fratellanza ma odio o totale disinteresse per i destini altrui. Siamo soli. Tutti contro tutti. Disgregati e diffidenti. Ringhiamo il nostro rancore e costruiamo la nostra vendetta.

Lei è un da sempre fautore della centralità dell’attore. Può spiegare il lavoro con attori di questo spettacolo?

Non ho un metodo, se non il rispetto per la proposta e l'ipotesi interpretativa che l'attore immagina. Cerco di adattarla alla mia idea di spettacolo e di costruire un contesto favorevole. Il regista non deve dare troppo fastidio agli attori ma intervenire solo in assenza.

 Le suggestioni pittoriche che hanno guidato la creatività di Cervo come vengono espresse nella messa in scena; in particolare l’immagine di una società cadavere che guarda alle resurrezione suggerita da “La deposizione” di Sebastiano del Piombo?

Il corpo è al centro dell'azione, il suo mostrarsi non è mai casuale. In soccorso di un senso sempre complesso, mai scontato. Tutto è pittorico. Il Cristo di Sebastiano si mostra in procinto di risorgere ma in quel quadro non accade. Nemmeno nel nostro spettacolo.

 E’ un messaggio di speranza per l’umanità?

Assolutamente no. E' un monito. Questo spettacolo svergogna la nostra condotta e la deride con ironia sprezzante.

La sua continua ricerca di nuovi linguaggi espressivi continua con la collaborazione con questi drammaturghi?

 E' una gioia per me incontrare tanta intelligenza e sensibilità tutta insieme

Regista teatrale di grande talento ha ricevuto premi prestigiosi tra cui il FLAIANO e il premio della Critica. Quali sono le sue prossime  sfide?

Una trilogia su Shakespeare completamente muta. Un lavoro tutto incentrato sull'espressività corporea. Sottrarre al più grande drammaturgo di tutti i tempi la parola può sembrare un gesto irrispettoso ma, per quanto sembri paradossale, è un gesto d'amore e la ricerca di sviluppo ulteriore e di analisi ossessiva delle sue tematiche. Ma non ci sono molti produttori coraggiosi in giro.

Qual è Il fine del teatro oggi?

Il teatro racconta il suo tempo alla sua comunità. Continuerà a farlo. Speriamo ci sia sempre più spazio per artisti capaci e per il coraggio di una proposta sovversiva e innovativa. Il futuro lo stiamo costruendo ora e le premesse non sono allegre. Serve una gran forza che abbatta i criteri di mercato, castranti e terribilmente noiosi.