Polverigi Festival, danza protagonista
La danza grande interprete del Festival di Polverigi
Grande interprete del Festival di Polverigi è la danza. A cominciare dalla prima italiana Green leaves are gone, con due interpreti egiziani e due italiani: Ibrahim Abdo, Shady Aldelrahman, Tommaso Monza e Giovanna Rovedo, che fanno parte del progetto artistico a cui aderisce Inteatro Festival Focus Young Mediterranean and Middle East Choreographers 2018. Un lavoro su come la realtà declina il concetto di "sparizione", in cui inseriti in maniera mirabile sono gli egiziani, mentre gli italiani restano un tantino più formali nell'atteggiamento del viso e del corpo.
Ritornello, che sul concetto di "ripetizione" costruisce una serie di movimenti apparentemente banali e ripetitivi nel quotidiano, con per base una musicalità che da semplice sottofondo diventa luogo emozionale in cui scaturisce il movimento. I gesti si fanno sempre più particolari mentre la base musicale si collega al lavoro di William Basinski, The Disintegration Loops, che è strutturato sulla replica di un campione sonoro. Il viso della danzatrice assente ed i suoi movimenti ripetitivi dapprima meravigliano, poi il graduale ripetersi di uno stato d'animo sino all'esasperazione, intriga molto lo spettatore conquistato dalla base musicale.
Love Souvenir, performance di Francesco Marilungo, che striscia per terra col corpo quasi nudo ed una lunga parrucca scura che gli nasconde il viso che non apparirà mai. E' il corpo della "Maddalena", che nel tempo è diventato reliquia come i sette corvi tassidermizzati, che creano la scena e si aggiungono alla gestualità del danzatore. Cosi' si sfida il concetto della morte, interpretata con uno splendido abito regale di Marras, la cui vestizione con le lunghissime maniche pone una pausa in cui riflettere. Sullo sfondo la pratica della tassidermia del corvo e della lapidazione della donna adultera, creano un naturale rifiuto alla violenza a cui si sta assistendo. Resta il concetto che il corpo che viene impagliato e quello che si fa reliquia, diventano mezzi di contatto con un mondo sovrannaturale.
Damnoosh, di Sina Saberi, anch'esso nell'ambito del progetto Focus Young Mediterranean and Middle East Choreographers 2018, che con la cerimonia del tè offre una visione della cultura iraniana. Lavoro delicato con l'interprete che fa sedere gli spettatori intorno a lui e ne fa gli attori dei suoi racconti di vita, di rituale, di cultura del suo paese, offrendo sette erbe, che raccontano emozioni diverse. Dopo aver bevuto il tè, una danza perduta ritornerà alla memoria, creando l'inserimento nella vita del danzatore.
Occhio di bue,di Andrea Costanzo Martini. Ironico, divertente, serrato nei sottintesi, questo lavoro racconta le relazioni di potere che si stabiliscono fra il danzatore, il coreografo e il pubblico.L'intimazione dall'altro" lui" sullo schermo, che domina i suoi movimenti e le sue interpretazioni,i traccia il paradosso di quando il creatore e l'interprete sono la stessa persona.Martini mette in discussione il suo ruolo nella danza, ma lo fa con un sorriso irresistibile.
Sempre di Andrea Costanzo Martini, What Happened in Torino. Il testo che accompagna la danza è una rielaborazione di televendite degli anni '90 condotte da Vanna Marchi, con la nota esuberanza e violenza verbale. I movimenti del corpo possono finalmente rivelare i messaggi nascosti e la parola "esporsi" cerca un chiarimento.E' un atto generoso o di puro egoismo? La dualità fra il desiderio di essere osservato nel movimento ed il senso di prigionia causato dallo sguardo altrui, disorienta, causa angoscia.