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Culture
Remo Bianco: le tracce della vita in mostra a Milano
Remo Biano - Impronta, 1964 - Gomma

di Simonetta M. Rodinò

La malinconica caducità del reale si traduce nelle opere di Remo Bianco nell’ossessivo e caparbio tentativo di salvaguardare ricordi piccoli, piccolissimi: quei tanti oggetti minuti che rischiano di sfuggire dalle mani.

La mostra “Remo Bianco. Le impronte della memoria”, da oggi nelle sale degli Archivi del Museo del Novecento del capoluogo lombardo, presenta una selezione, una settantina di lavori, di alcune fasi creative dell’artista milanese, mancato 66enne nella sua città. Era il 1988.

Obiettivi della rassegna “ricucire la sua creatività e fare un po’ di chiarezza, attraverso le opere e con l’aiuto di documenti storici, se non su tutti almeno su alcuni dei suoi cicli espressivi più intensi”, sostiene la curatrice Lorella Giudici.

Il percorso si apre con i Collages, passando dalle Pagode per avvicinare le Impronte, sfiorare i Tableaux dorés – forse la serie più conosciuta -, soffermarsi sui Sacchettini, sulle opere tridimensionali, sulle Sculture neve e sugli insoliti Quadri Parlanti.

I primi sono il risultato di un viaggio compiuto negli Stati Uniti, dove Bianco conosce l’espressionismo astratto e apprende da Jackson Pollock, la tecnica del dripping. E’ sviluppando questi lavori che giunge a creare i Tableaux dorés: foglie d’oro su tela. Carte che se da un lato evocano l’oriente, dall’altro ricordano anche i Tarocchi che sua madre, cartomante, scopriva davanti ai clienti.

Già dal 1948 inizia a sperimentare le opere in 3D, dipingendo su lastre di vetro, cui seguiranno nuove versioni su legno e metallo. Una sorta di mix tra arte spaziale e gioco scenico.

Ecco poi le Impronte, calchi in gesso, cartone pressato o gomma di cose destinate a scomparire, o tracce di oggetti comuni, giocattoli, palline in polistirolo, attrezzi… Che per salvaguardare non solo imprigiona nel gesso, ma seppellisce sotto una coltre di neve (le Sculture Neve, dove gli oggetti sembrano prigionieri d’incantesimi) o anche chiude come referti delicati in sterili sacchetti di plastica (Sacchettini).

L’imbustare, l’imprigionare e il seppellire per ritrovare l’oggetto ogni volta se ne senta il bisogno non sono forse il desiderio di non dimenticare?

Le Pagode, nascono dopo aver visto la Persia con le proprie moschee, i bazar, le guglie dei minareti; in mostra cinque lavori dalle sagome differenti.

L’esposizione si chiude con tre Quadri Parlanti: tele o immagine fotografica sul cui retro sono posizionati degli amplificatori che, all’avvicinarsi dello spettatore, si attivano emettendo voci o frasi registrate dall’artista. L’interazione con il visitatore si sposta dunque dal campo visivo a quello acustico, coinvolgendolo in rumori, risate, imprecazioni… Il suono dell’anima? L’eternità?

L’artista che ha sperimentato idee nuove e iter diversi non è catalogabile in alcuna corrente. Le ha sfiorate, ma non vi ha mai preso parte. Il suo eclettismo eccessivo ne ha sfilacciato il percorso.

 

“Remo Bianco. Le impronte della memoria”

Museo del Novecento – Piazza Duomo 8 – Milano

5 luglio – 6 ottobre 2019

Ingresso compreso nel biglietto del Museo: 10 euro intero, 8 ridotto

Orari: Lunedì 14.30 – 19.30; Martedì Mercoledì Venerdì; Giovedì e Sabato 9.30 – 22.30; Domenica: 9.30 19.30

Infoline: 02/88444061

Catalogo Silvana Editoriale

www.museodelnovecento.it

 

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Tags:
remo biancoremo bianco mostra milano





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