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Culture
Soverato, di Ottavio Rossani. La recensione

“Soverato” di Ottavio Rossani pubblicato da i Quaderni del Bardo Edizioni è un’autoantologia di poesie inedite scritte tra il 1976 e il 2018. È una silloge dunque. È evidente come il suo amore, la città “Soverato”: alfa e omega della sua vita.

 È il luogo dell’anima: punto di incontro e di perdita di un altro amore, parimenti maestoso. Questa raccolta di versi sembra accogliere ricordi, nostalgie di un tempo passato scandito dal volgersi di un tramonto, al cospetto di un giorno dove provare a dichiararsi ancora amore. Ma è solo un istante: “Lo sguardo resta sgomento, / ammaliato dalla ruvida bellezza, / e rischia di perdersi nel gorgo. / Vince il desiderio di tornare / un altro giorno, un’altra alba, / un altro anno, un’altra vita” (p. 45). E dolore sì, ma non affanna. Anzi, addolcisce. Si leggono i versi e gli occhi sono tronfi di lacrime d’amore: viene in mente il grande René Char e le sue “Poesie” (2018). Char abita il dolore come “un sogno senza fardello: sognerai il domani e ti sarà lieve il letto. Sognerai che la tua casa non ha più vetri”. In egual misura accade in “Soverato” di Ottavio Rossani. Si sogna l’amore, si vive il dolore di un amore volato, ci si incanta di fronte alla bellezza di una piccola cittadina.

Vige ancora il desiderio di prendersi cura nell’incanto di un’alba, di un tramonto, di una vista mozzafiato: Soverato. È donna. È qui che il cuore soggiorna, qui vaga la mente anche quando a “fine agosto” le spiagge si svuotano, “restano i dolci silenzi della notte” e come un bambino in preghiera ossequioso Rossani ricerca “nel cuore l’immagine del non detto come sogno d’amore irrazionale”. Stupisce la silloge: sembra appartenere a un adolescente che ricerca pace, tormentato dall’amore sconfinato nella natura, e d’improvviso, il fanciullo foscoliano si tramuta nel giovane leopardiano fino al disincantato adulto ungarettiano nel dolore di un amore che sembra più non ritornare.

Si tratta di versi autobiografici, per l’appunto, di una narrazione del sé, della ricerca spasmodica dell’altro. Sé. Si ferma il poeta augurandosi che le luci del Golfo di Soverato illuminino il suo animo: affaticato, mesto. Non traspare la sofferenza. La bellezza primeggia nei versi che sono quadri dipinti con sapiente ricerca della sfumatura coltivata da una parola, un’altra e poi ancora, sino a creare cornici variopinte e si legge: «Occhi chiusi / correvo allora per non vedere/ fantasmi, due alberi di carrube / ancora forti e neri. […]. Inesistenze forse cerco quando / spesso torno a Soverato / oasi marina nel frusto bruciare / del dorsale calabro già spoglio. / Quale cimelio rubare?» (p. 11).

L’amore è il fil rouge di tale raccolta di poesie: non si tratta di un amore urlato, ma è un sibilo raccontato con parole che ondeggiano al suon del vento. Si sorseggiano i versi di “Soverato”. Sono una sorgente fresca: “… l’amore vincente su ogni cosa. / Era partito per raggiungere una meta, / prendere la sua donna e ripartire. / Tutto accadde secondo i desideri, / ma il tempo inesorabile / cancellò i motivi carichi di giovinezza / che l’avevano fatto innamorare” (p. 35).  E su, si sospira e poi ancora, si legge, nella speranza vivida che l’amore vinca sempre su tutto nella poesia come nella vita. Sempre. Ottavio Rossani crede fortemente nei luoghi, nell’amore, nei versi che possano umanizzare l’umano da ricercare in ognuno di noi.

di Alessandra Peluso        

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