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Culture
Stagioni di Silvia Cecchi, la recensione

Seguendo la melodia e la musicalità delle “Stagioni” di Vivaldi, si assiepano i ricordi e le nostalgie dei versi raccolti nei “Quaderni di VivArte” di Silvia Cecchi, scanditi dal metronomo iconografico di Oliviero Gessaroli. Una poesia, quella di Cecchi, ricercata, vissuta tra il sogno e l’abbandono, tra il compianto e la bellezza di momenti in cui la natura sfavilla di colori e profumi, di immagini che accolgono le stagioni di un tempo che non è semplicemente cronologico, χρόνος, ma appartiene all’interiore animi di un presente legato al passato e al futuro, e in una totalità, nell’eterno, αἰών, che l’autrice abbraccia la vita. In molti poeti la filosofia e la poesia si conciliano e costituiscono un’unica identità, secondo la quale non si assiste a paradossi o conflitti, ma nella reciprocità del soggetto si dipana il vissuto tra il detto e il non detto, l’esperito e l’esperienza. Proprio così accade leggendo “Stagioni”: la compiutezza di una vita, di dubbi, ricerche tradotte senza tradirsi in poesia.

E allora, si legge: “Che vuoi che me ne faccia / di un eterno. Eterna è già la Vita / eterno è il mondo e Iddio. / Se qualcosa mi mancherà / sarà di non sentire / più sotto le dita / il tuo batticuore nella vena / di lucertola / sulla pietra calda di sole (p. 7); e ancora, “nella gronda / al glicine fiorito di brusco / che pende al gratticciato / di quel colore che ha / del cielo e della terra insieme / e curva i grappoli storditi / sulla strada bagnata (p. 10).  Come ad esempio i “Quaderni” di Paul Valéry così i Quaderni di poesia di Silvia Cecchi narrano in versi la propria esperienza mentale e spirituale della gioventù, la sua, quella di altri attori sociali, le affettività. Una poesia intimistica, privata, che induce il lettore a soggiornarvi quale ‘ospite’ discreto e attento, a contemplare i paesaggi, a gustare la primavera, l’estate, l’inverno e a godere di momenti non sempre piacevoli, poiché la vita è anche dolore, dimenticanza, malinconia. Inoltre, i disegni di Oliviero Gessaroli appaiono centrali e non di contorno alla parola, indicativi ed esplicativi di un vissuto, quello descritto nei versi. Realizzato dall’Associazione culturale “L’Arte in Arte” di Urbino per la rivista VivArte, con un progetto grafico di Susanna Galeotti, sono state prodotte solo 200 copie proprio ad indicarne la preziosità di un raccolto, il migliore, di Silvia Cecchi, la quale nella semplicità della parola liberamente creata ha dato vita a un frutto succoso e polposo quale è la poesia.

Ci sono inoltre, dei momenti in cui Silvia Cecchi intenerisce, ritorna bambina e il verso infatti, trasuda di fanciullezza intima fino a condurre a una tirannica visione dell’Io. Le sue poesie sono “ponteggi” di vita, costruiscono legami senza legacci, salgono su di un monte “dal pendio dolce risalente / alla vetta / così sereno, assente (p. 14). Nell’assenza, la presenza di un ricordo, l’abbraccio di una vita vissuta. Sospesa e sottesa. Non è artificiosa la poesia di Cecchi, né induce a finzioni, la verità del volto forse ricercato lo trova nel verso, nella scrittura, nel significato e significante della vita, non necessariamente della sua. Paul Celàn d’altronde, scriveva, che a ciascuno è data la possibilità di tracciare il proprio cammino, su una linea, un meridiano, verso quel sapere e quel sentire, lontano da chi è assordato dal rumore; in una società rumorosa, chiassosa come quella odierna è certamente complicato sentire, sapere, ma è possibile per chi ama la poesia, la vita, e l’unico rumore che riesce a tollerare è il proprio, quello dell’anima: così come accade a “Stagioni” di Silvia Cecchi.              

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    stagioni silvia cecchisilvia cecchioliviero gessaroli





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