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Culture
Teatro, il drammaturgo Cervo: "Faccio ciò che Caravaggio fece con la pittura"

Di Oriana Maerini

Gian Maria Cervo drammaturgo di fama internazionale fondatore e direttore artistico di Quartieri dell’arte (QdA) - la kermesse dedicata alla nuova drammaturgia, sceglie di farsi intervistare in un luogo simbolo: lo storico Gran Caffè Schenardi, frequentato nella prima metà dell’800 anche da rivoluzionari fomentatori, “anarchici e demagoghi”, di Viterbo, sua città d’azione. “Una città magica, considerata negli anni 40 del 500 un luogo esoterico per eccellenza, sede dei grandi alchimisti e dei movimenti radicali che trovano difficoltà a Roma” – ci spiega. E’ in questa affascinante città medievale che ha presentato in anteprima, nell’ex Chiesa di sant’Egidio,  la sua ultima opera “Il colore del sole”, liberamente tratta dal romanzo di Andrea Camilleri. Una sorta di noir dove lo scrittore indaga come un detective sul ritrovamento di un documento incredibile e avvincente scritto di proprio pugno da un artista di quattro secoli prima, immenso e maledetto: Michelangelo Merisi, il Caravaggio. Lo spettacolo è stato realizzato nell’ambito di Eu Collective Plays!, progetto co-finanziato dal programma Creative Europe dell’Unione Europea. Il testo di Cervo, diretto dal regista Franco Eco mette in scena un thriller barocco e scandaloso attraverso l’uso di specchi convessi, attori veri e virtuali che si mostrano nudi nel corpo e nell’anima. “Il colore del sole”, ambientato per metà nel Seicento e per metà ai giorni nostri narra, attraverso le parole del pittore stesso, la vita di Caravaggio a Malta e in Sicilia tra il 1607 e il 1608 fra fughe, amori, tradimenti e morte.

Perché ha scelto di debuttare proprio a Viterbo?

Le mie opere partono sempre da un legame con il territorio. In questo caso l’idea era quella di creare un omaggio all’artista visivo viterbese Carlo Vincenti associando lo spettacolo alla sua opera “Cena di Emmaus” ed alla sua performance di denudamento in pubblico che fece in occasione del suo compleanno creando molto scalpore qui a Viterbo negli anni 70.

Cosa lo ha attratto dell’opera di Camilleri?

Oltre al fatto che nel romanzo riecheggiano le opere di Vincenti “Il colore del sole” mi ha attratto per il suo impianto barocco. C’è  un gioco di specchi fra la parte contemporanea di cui lo Camilleri stesso  è protagonista  e la parte seicentesca dove, attraverso la vicenda, si interpreta,  in chiave neurologica, la pittura così  unica   e innovativa di Caravaggio. La lettura del romanzo mi ha avvinto anche al particolare  linguaggio seicentesco  inventato dal genio dello scrittore.

Camilleri ha partecipato a questa trasposizione teatrale?

No, mi ha dato il permesso di proporre la sua opera a teatro ma non è entrato a far parte della sua elaborazione. Si è fidato di me dopo aver visto il mio curriculum e mi ha lasciato  piena autonomia. Del resto io  ho molto assecondato il suo romanzo. Ho solo  accentuato l’ impianto barocco, questo gioco di specchiamento, anche perché in teatro le transizioni da un’epoca e l’altra devono essere molto rapide. Ho lavorato di sineddo e di simbolo a livello di costume e di scena con una messa in scena post moderna, dall’altra  ho mantenuto la lingua seicentesca ideata da Camilleri o ho lavorato non solo sulla lingua ma anche sui dialetti antichi. La mia opera è un testo che inizia politico e poi si chiude come un trattato sullo storytelling, sulla natura della narrazione.

Ha scelto questo romanzo anche perché ama Caravaggio in modo particolare?

Si mi interessa il linguaggio di Caravaggio e per questo pensavo che il romanzo di Camilleri fosse una restituzione o l’inizio di una restituzione molto interessante della lingua di Caravaggio. Ho pensato si potesse porre in connessione il linguaggio di Camilleri con il linguaggio di Caravaggio attraverso una sperimentazione  che nei paesi anglosassoni si chiama “polivocale”. Si tratta di provare a usare delle tecniche a base linguista basate sul cambio improvviso di registro e di codice per fare progredire le trame. Sembra non molto diversa ma c’è una differenza sostanziale dalla tecnica tradizionale di drammaturgia. Quando ti trovi di fronte ad un testo di impianto tradizione la lingua è una funzione del personaggio ha una sua coerenza di eloquio  nel mio spettacolo, invece, il rapporto si inverte è la lingua che guida l’attore e il personaggio e l’attore nel momento in cui l’attore cambia codice linguistico  questo di per se è crea un’ evoluzione nella trama. E ciò che faceva Caravaggio nella sua pittura: i frammenti attraverso i quali è costruita la trama contengono azione e reazioni emozioni-psicologiche dei personaggi.

Il suo è un lavoro di sperimentazione?

Si, ho cercato di imitare quello che Caravaggio faceva nella pittura: prendeva degli elementi naturalisti della realtà  e attraverso il suo linguaggio metteva in evidenza solo alcuni dettagli per esaltarli ancora di più; io con la lingua faccio la stessa cosa. Il linguaggio diventa una forza misteriosa che porta avanti la trama mettendo in evidenza alcuni aspetti della vita sia  di Camilleri sia di Caravaggio in questa  vicenda che è solo parzialmente storica. Il fatto che le due vite sono tutte  e due sono in parte fiction mi ha fatto riflettere su come nasce una narrazione. Questo è stato il lavoro che ho voluto fare con “Il colore del sole.”

 

Camilleri ha visto lo spettacolo?

Ancora no, ha avuto il copione. Adesso ci sono i materiali e gli manderò un filmato. Spero che apprezzi l’idea della macchina barocca, dello specchio concavo che crea dei fantasmi. Nello spettacolo attori reali oltre a fare ruoli multipli si confrontano con attori virtuali. creando una macchina teatrale tutta basata sul cambio di mood, ritmo e tempo al secondo spaccato.

Quanto si rispecchia nella figura di Caravaggio?

Non saprei mai essere aggressivo come lui. Mi sento molto più vicino a Camilleri. Entrambi hanno lo stesso disprezzo per la finzione del mondo ma Camilleri ha la saggezza di chi sa che non potrà cambiare il mondo da solo. Caravaggio era, invece, un ribelle irriducibile. E’ stato riscoperto nel 900, era un ragazzo dark, sempre vestito di nero con un cane nero che chiamava Cornacchia.

Il quadro di Caravaggio che ama di più?

La decollazione del Battista che è esposto a Malta, vi è un riferimento al quadro anche nello spettacolo.

Qual è oggi lo stato di salute del teatro in Italia?

Il nostro è un sistema arretrato che non ama la sperimentazione, neppure sulla carta. I direttori dei teatri non sanno neppure leggere i progetti. Il teatro italiano è conservativo, non corre rischi. Si mettono in scena solo opere contemporanee o classiche. In Italia la fantasia non basta servono le risorse economiche ma i direttori non hanno il coraggio di sfidare la politica per avere più risorse. Il nostro Paese sta vivendo una profonda crisi culturale e Roma è il suo specchio.

Lei è uno sperimentatore, invece, e i suoi testi sono allestiti in tutta Europa…

Paradossalmente le mie opere sono più conosciute in Europa che in Italia. Fa parte del mio lavoro seguire le diverse messe in scena dei miei spettacoli che vengono allestite nelle varie città europee. “L’uomo più crudele” è ora in programmazione in Montenegro, “Call me good” è stato rappresentato per quattro anni al Residenztheater di Monaco di Baviera. Anche David Warren regista americano di Desperate Housewivesil ha messo in scena la mia riscrittura de “La locandiera” di Goldoni.

 

Qual è il suo sogno nel cassetto?

Dopo aver girato molti teatri mi piacerebbe dirigere un teatro stabile con un ensamble da gestire in maniera nuova e dove poter mettere in scena gli spettacoli più interessanti ed innovativi dei nuovi talenti della scrittura teatrale.

 

 

 

 

 

Tags:
tetaro cervo drammaturgoteatro camilleri “il colore del sole”





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