Un romanzo ci svela “L’ultimo messaggio di Leonardo” - Affaritaliani.it

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Un romanzo ci svela “L’ultimo messaggio di Leonardo”

Un’avvincente narrazione tra fiction e analisi critica incentrata su uno dei capolavori del genio vinciano: La Vergine delle rocce

di Raffaello Carabini

 

Il punto di partenza di un romanzo è solitamente di facile individuazione. Nel caso de L’ultimo messaggio di Leonardo è stata una “scoperta” della autrice, la studiosa di storia dell’arte Maria Pirulli: il genio di Vinci, che conosceva il linguaggio dei segni e lo utilizzava nei dipinti per rendere più espressiva la mimica dei suoi personaggi, firmò così il capolavoro La Vergine delle rocce.

Un’opera particolare. Quando venne completata, in maniera innovativa rispetto al contratto stipulato e con l’aggiunta di una complicata pala d’altare a sostegno, i committenti, la milanese Confraternita della Immacolata Concezione, che volevano destinarla alla loro cappella nella chiesa di San Francesco Grande (allora la seconda di Milano dopo il Duomo, poi demolita nel 1806), si trovarono di fronte alla richiesta di un pagamento suppletivo di 100 ducati, il 50% in più rispetto al pattuito. Rifiutarono, sottolineando le inadempienze contrattuali legate alla stesura. Leonardo la vendette ad altri – forse lo stesso duca Ludovico il Moro – che già l’aveva apprezzata permettendogli il “ricatto”, ma venne obbligato dopo un arbitrato a farne una seconda versione, molto meno interessante artisticamente, per la Confraternita, da cui però ottenne altri 50 ducati.

Tra i principali collaboratori di Leonardo nel suo periodo milanese ci furono i fratelli de Predis, che certamente contribuirono alla prima Vergine delle rocce. Ospite presso la famiglia, il poco noto artista toscano iniziò a muovere i primi passi nella loro bottega. “Erano sette fratelli, tutti artisti”, dice Pirulli ad affaritaliani, “tra cui il più importante era Cristoforo, eccellente miniaturista sordomuto, che firmava con l’aggiunta Mut (mutolo), ma che sapeva farsi capire bene con segni e gesti, tanto che in un’occasione gli stessi fratelli chiesero al duca di fargli ereditare la sua parte di alcuni terreni, nonostante allora i disabili fossero ritenuti incapaci di intendere e di volere e perciò diseredati.”

Che Leonardo apprezzasse da allora il linguaggio dei segni è certo. Scrisse nel suo fondamentale Trattato della pittura: “Non rinfacciatemi che vi propongo un insegnante che non parla, perché egli vi insegnerà meglio con i fatti, che tutti gli altri maestri attraverso le parole. Il buon pittore ha da dipingere due cose principali, cioè l’uomo ed il concetto della mente sua. Il primo è facile, il secondo difficile, perché si ha a figurare con gesti e movimenti delle membra, e questo è da essere imparato dai muti, che meglio li fanno che alcun’altra sorta d’uomini.”

E, continua Pirulli, “Leonardo firmò la prima stesura del quadro affidandosi alle mani dei protagonisti: la Madonna ha la destra nell’antica posizione della L in lingua dei segni, l’angelo con la D indica san Giovanni e il Bambino fa la B. È un acrostico che si confonde con il muoversi delle mani, che è armonia, matematica, richiamato dalle rocce, che hanno forma di mani e indicano le stesse lettere”.

Insomma un avvio di quelli che più affascinanti non si può, da cui si sviluppa la narrazione su due piani del corposo romanzo L’ultimo messaggio di Leonardo (Skira, pgg. 302, € 18). Da un lato quello relativo a Leonardo, che diventa un latore/protagonista di trame nascoste, di simbologie le più disparate, di rapporti “sconvenienti” con la setta degli Illuminati. Elaborato da Pirulli: “Osservando una qualsiasi opera d’arte ognuno di noi ha delle impressioni immersive, che catapultano dentro e riempiono di visioni che portano altrove. Nella Vergine delle rocce Leonardo ci conduce oltre: così come il paesaggio, la grotta stessa ci immerge nel ventre materno, dove gli illuminati vedono al buio, dove c’è il raggio di luce, lo Spirito Santo, che mette in contatto microcosmo e macrocosmo. Il Vinci si dice un “trattatore di luce”, e dietro un paesaggio glaciale primordiale scioglie l’acqua di un liquido amniotico archetipico, quasi il lumen naturae di Jung ante litteram che fa emergere l’inconscio, di cui si occupano oggi le neuroscienze.”

Dall’altro un thriller contemporaneo alla Dan Brown che di quelle peregrinazioni leonardesche e della ricercatrice che le svela fa un affascinante percorso tra misteri e colpi di scena, scritto, su commissione come un quadro del Rinascimento, da Stefano Ferrio, già autore dei romanzi La partita e Il trillo del diavolo (uno sul calcio giocato, l’altro un noir terribile). “L’unica regola che mi sono dato”, dice ad affaritaliani, “è stata quella di scrivere qualcosa che avrei voluto leggere, quindi qualcosa di avvincente. Abbiamo cercato di essere il più leonardeschi possibile, senza darci nessun limite, di liberare la fantasia sulle tracce scientifiche delle ricerche che aveva svolto Maria. Ne è risultato un gioco straordinario, che ci ha portato a liberare la fantasia in maniera vertiginosa. Nulla viene lasciato fuori, sempre alla ricerca dell’intuizione, nella vita un po’ spericolata della protagonista, che un po’ somiglia a quella di Maria.”

Cosa le ha dato questo incontro con il genio di Leonardo?

“Mi ha riportato alla mia infanzia più lontana, perché sono stato colpito in modo più pronunciato dal rapporto delicato e cruciale che Leonardo ebbe con i genitori, la mamma Caterina e il padre ignoto, e poi con il notaio da Vinci, che fu il suo genitore putativo. Scriverne mi ha riportato alla mia infanzia lontana. Un piccolo piccolo in cui c’è qualcosa di grande, che abbiamo l’impressione di aver perduto, un ritorno quasi al grembo della madre, così centrale nella visione della Vergine delle rocce. Un ventre che ci ha custodito in un mondo di tenebre, dove la luce è difficile da scorgere. Questo viaggio tra i simboli di Leonardo tocca corde profonde legate al mistero del concepimento e dell’infanzia di ognuno di noi, ma non solo. Siamo spesso ipnotizzati dalla famiglia che ci ha messo al mondo, ma è molto più sconvolgente pensare agli antenati più lontani da cui veniamo, immaginare da chissà quali sacrifici, fili, teorie di fatti e misfatti siamo emersi noi, il nostro dna, che in fondo ci fa ritrovare tutti uguali, perché tutti veniamo da storie complesse, misteriose, insondabili.”

copa leonardo