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Culture
Sesso e siti porno, la proposta della sessuologa: sono da abolire?
Thérèse Hargot - Credit: Benjamin Chelly

Una gioventù sessualmente liberata (o quasi) – 170 pagine, edito in Italia da Sonzogno nel febbraio 2017 ma comparso in Francia già l’anno passato. L’autrice: Thérèse Hargot. Sessuologa Belga, con una laurea in filosofia e un master in scienze sociali alla Sorbona di Parigi. Classe ‘84, tre figli. Una che ha fatto «carriera» quando attorno tutti chiedevano: «Ma non rimpiangi di non aver vissuto la tua giovinezza?». E altri insistevano: «Sinceramente, non te ne sei pentita?». Invece tira fuori un testo con cui – da atea qual è – scava (e cerca di svuotare) luoghi di comuni e certezze – o incertezze - di una gioventù figlia o nipote (o parente) della rivoluzione sessuale. Un viaggio che parte dalla pornografia, passa per la contraccezione, arriva all’aborto e dà una spallata al femminismo dell’emancipazione. Un libro controcorrente: e forse solo per questo di un certo valore. Affari Italiani ne ha parlato con Giovanni Marcotullio, giornalista, saggista e traduttore del testo dal francese.

Partiamo dalla provocazione (o la proposta) della Hargot: aboliamo i siti porno?

«E’ un argomento frontale, questo, ma non fondamentale. Benché la pornografia sia conosciuta in tutta la storia dell’essere umano, la Hargot punta il dito sull’espansione del porno nella vita di tutti a livelli inimmaginabili: con contenuti gratuiti di cui si può usufruire in ogni momento. Basta un telefono. L’autrice parla di “tirannia del porno”, e si interessa della deformazione che questo fenomeno porta con sé, un fantasma sessuale che distorce la sessualità. La rivoluzione pornografica è uno degli ultimi esiti della rivoluzione sessuale».

Il porno causa una distorsione del desiderio?

«La Hargot scrive di suoi pazienti che soffrono per non riuscire a considerare la donna se non come oggetto sessuale, attraverso degli schemi che l’industria del porno ha indotto nel sentire contemporaneo. E poi c’è il disagio generato: si creano dei meccanismi (anche a livello di prestazioni o atteggiamenti sessuali) non riproducibili nella realtà proprio perché basati sulla finzione. Se fin da adolescenti si vivono situazioni di questo tipo il contraccolpo è devastante. Ne deriva una dipendenza, un’assuefazione al piacere pornografico. E la maturazione sessuale, da circolo virtuoso quale dovrebbe essere, diventa circolo vizioso».

A cosa si riferisce con «morale del consenso»?

E’ la questione centrale. E l’unico strumento con cui si giudica se qualcosa è fatto bene o meno. Se c’è la volontà – in questo caso su un atto sessuale da parte di un giovane – va bene. L’autrice, però, nel parlarne, non dà lezioni morali né insegue virtù o valori. Si pone una domanda precisa (che nessuno si pone): cosa significa consenso? Quali sono le pre-condizioni perché un consenso vero e maturo ci sia? Ci troviamo quindicenni che danno il loro consenso in un momento che dovrebbe essere di formazione. Un momento in cui, se coinvolti sentimentalmente magari, saranno disponibili a tutto. Anche senza possedere un’indipendenza di giudizio. “Quando mi chiedono se sia prematuro avere relazioni sessuali – dice sui giovanissimi – rispondo che non è tanto prematuro averle, quanto che si stia insieme”, che si inneschi, cioè, un meccanismo reciproco per cui io prendo qualcuno e quel qualcuno prende me, proprio mentre si sta sviluppando un processo di crescita».

«Essere omosessuali non esiste». E ancora «Proprio mentre i gay sono sovraesposti mediaticamente, l’omosessualità è diventata un tabù. Ci spiega?

«Non esiste essere omosessuali perché l’omosessualità non intacca l’essenza di una persona.  Non è inerente a qualcuno più di quanto possa esserlo il colore della pelle, o la presenza di calvizie, o il timbro della voce. Non riguarda l’identità di una persona. Esiste, dice la Hargot, una pulsione sessuale che può orientarsi all’omosessualità. Sottolineo: non si pronuncia mai in argomentazioni pro o contro. E suggerisce che se si scindesse la persona dall’atto si potrebbe riaprire un dibattito. Da quando l’Organizzazione Mondiale per la Sanità non considera più l’omosessualità una patologia (17 maggio 1990, ndr) sono accadute due cose. Da un lato, si è messo fine alla denigrazione omosessuale, e di questo dobbiamo rallegrarci tutti. Dall’altro, si è impedito che la comunità scientifica andasse avanti nel porsi una domanda: cos’è l’omosessualità? Da allora molti convegni sono stati organizzati su questo tema, ma quasi nessuno di carattere scientifico. Si è discusso a livello ideologico, a livello di associazioni para-accademiche. E poi si è arrivati alla letteratura giuridica, poi alle leggi, poi al costume. L’errore sta nel confondere la persona in quanto tale dai suoi atti».

Contraccezione. Il libro se la prende con la comunicazione asettica e spersonalizzata con cui vengono presentate le varie tecniche (pillola o preservativo che sia).

«Per la Hargot la contraccezione riguarda in primo luogo la sua esperienza. Da giovane donna che ha rifiutato quest’idea, e quelle tecniche, perché le riteneva dannose antropologicamente. Quella della comunicazione è una sua critica solo in superfice. L’esperienza sessuale viene mutilata dalla contraccezione (chimica o meccanica, per l’uomo o per la donna). Non si vive in pienezza la sessualità dell’altro – e in particolare per la donna – laddove i tempi della donna non diventino i tempi della coppia. Questo non è un invito a fare figli come animali. Ma, a differenza degli animali, e come essere umani, non possiamo sterilizzarci perdendo il contatto profondo con la pienezza dell'evento da cui la vita origina. E’ un invito a guardare sotto una diversa luce la questione. La contraccezione, per la Hargot, implica anche una paura dell’altro. E’ una menomazione della vita della coppia. Che poi genera ripercussioni a cascata».

E arriviamo all’aborto.

«L’aborto è trattato come la derivazione sociale, sociologica, della mentalità contraccettiva. Gli aborti sono sempre esistiti, ma per come e quanto vengono praticati oggi non c’è più confronto col passato. Il bambino che arriva è il fallimento della contraccezione, e dunque un inconveniente. E in quanto “imprevisto” deve essere eliminato. Ne consegue una certa facilità nel praticarlo proprio per l’instaurarsi di questa mentalità; che però lede le donne, nel corpo e nello spirito».

«Noi siamo eredi di un femminismo che si ritorce oggi contro le donne stesse», scrive una donna sulle donne.

«Non usa categorie fisse, ma sostiene questo: la donna è ancora vittima di un maschilismo prepotente perché la società in cui si trova a vivere non è pensata e strutturata secondo i suoi ritmi, le sue esigenze, i suoi tempi. I tempi della maternità. La cosiddetta emancipazione della donna, di fatto, si trova a coincidere con la sua “maschilizzazione”. Senza che questo, per altro, si traduca in una reale parificazione dei ruoli: ancora oggi una donna guadagna meno dell’uomo, e non può arrivare a prendere di più in quanto, in ogni caso, rimane per l’impresa un elemento sconveniente. Bisognerebbe ripensare il mondo del lavoro. Introdurre un “reddito di maternità”, fare dei passi enormi rispetto all’attuale welfare. Dare dignità alle donne che scelgono la maternità – che non significa, certo, relegarle a lavare i piatti».

Un limite del femminismo, quindi?

«C'è esigenza di un femminismo di nuova generazione che non trascuri le conquiste ottenute e possa rispettare la dignità della donna. La Hargot cerca di rimescolare le carte, senza farsi inquadrare. Sarà presto anche in Italia, dall'8 all'11 marzo, per la festa delle donne (qui). In Francia è riuscita a riaprire un dibattito che da noi (in particolare sull’aborto) è blindato. Mai si espone direttamente, mai contesta leggi specifiche, e tuttavia porta a riflettere. E’ un lavoro coraggioso».

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