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Economia
2019 ancora volatile per azioni e bond, meglio ridurre posizioni a Wall Street

Lasciatisi alle spalle un 2018 che ha riservato più soprese negative che positive, che cosa attende i mercati finanziari mondiali nel 2019? In questo periodo dell’anno tutte le principali case d’investimento provano a stilare outlook e scenari come neppure Frate Indovino, forse anche per distogliere l’attenzione dalla verifica puntuale delle previsioni formulate solo 12 mesi prima, ma tant’è. Tra le quattro regine di Wall Street (Morgan Stanley, Goldman Sachs, Bank of America Merrill Lynch e Citigroup) la prudenza prevale anche se ciascuna casa prova a proporre una propria specifica “ricetta d’investimento”.

Morgan Stanley, ad esempio, prevede una crescita dell’economia mondiale ancora attorno al 3,6% (dal 3,8% di crescita che dovrebbe essere stata segnata quest’anno), ma avverte: il numero complessivo maschera una serie di cambiamenti in corso, con la crescita Usa che pare destinata a rallentare (da +2,9% a +2,3%) e i mercati emergenti che potrebbero tornare ad accelerare il passo (anche se la Cina rallenterà a sua volta da +6,6% a +6,3% e l’India sarà grossomodo stabile, da +7,7% a +7,6%), così come il Giappone (da +0,8% a +1,3%).

Se a inizio anno Wall Street potrebbe ancora beneficiare di quella che potrebbe rivelarsi una stagione record per i rimborsi fiscali, un mercato del lavoro sempre più surriscaldato, il graduale venir meno degli effetti fiscali e una politica monetaria meno accomodante rischiano di arrestare la corsa del toro sul mercato azionario americano. Per questo motivo gli esperti di Morgan Stanley stanno già suggerendo alla clientela di ampliare la diversificazione dei propri investimenti guardando oltre azioni e bond a stelle e strisce.

In particolare le altre borse mondiali dovrebbero sovraperformare rispetto a Wall Street, coi titoli “a valore” che paiono poter offrire più soddisfazione di quelli “a crescita”, le cui valutazioni sono giudicate ormai molto care. Se poi il dollaro si indebolirà e la crescita cinese recupererà vigore col passare dei trimestri, gli emergenti potranno fare particolarmente bene. In parallelo, l’atteso rialzo dell’inflazione potrebbe rendere meno attraente in termini di tassi reali un investimento in bond americani a fronte di una pausa della politica di “normalizzazione” dei tassi da parte della Federal Reserve.

Anche Goldman Sachs vede un rallentamento dell’economia americana (dall’atteso +2,9% del 2018 ad un possibile +2,5% medio, il che vorrebbe dire passare da un dato visto negli scorsi trimestri attorno al +3,5% fino a frenare ad un misero +1,25% negli ultimi 3 mesi del 2019), ma non fa troppo conto su una pausa della Federal Reseve nella sua strategia di rialzo dei tassi sul dollaro sopra il 3% entro il 2020. Anzi gli esperti di Goldman Sachs prevedono per l’anno venturo 4 rialzi (contro i 2 che si aspetta mediamente il mercato) che porteranno la forchetta dei tassi al 3,25%-3,5% tra 12 mesi.

Se così sarà la combinazione di minor crescita, maggiore inflazione e ulteriori rialzi dei tassi ufficiali potrebbe risultare “sfidante” per i mercati finanziari, ma “un significativo rallentamento” (della crescita) “l’anno venturo aiuterebbe a ridurre i rischi di un surriscaldamento e potrebbe in ultima analisi estendere la vita dell’espansione” economica in atto (già ora la più lunga della storia recente degli Usa). In sostanza in questo caso i bond in dollari mostrerebbero rendimenti leggermente più interessanti in termini reali, ma non andrebbero comprati che nella seconda metà dell’anno e per duration contenute, onde evitare di incamerare minusvalenza potenziali pochi mesi dopo l’investimento in caso di calo delle quotazioni a seguito di nuovi rialzi dei tassi ufficiali.

Appaiono più fiduciosi dei colleghi gli strategist di Bank of America Merrill Lynch, secondo cui il lungo ciclo di rendimenti in eccesso sia per le azioni sia per le obbligazioni, mostrando tutta la sua età, inizierà a rallentare l’anno prossimo, “ma non prima di un ultimo hurrà”. L’orso visto in queste ultime settimane potrebbe proseguire “coi prezzi delle attività che segneranno i loro minimi nella prima metà del 2019, una volta che le attese sui tassi raggiungeranno il loro picco e quelle sugli utili segneranno i propri minimi”. Tuttavia gli esperti si attendono nuovi record di utili per l’S&P500 l’anno prossimo e questo potrebbe consentire un ampio potenziale di rialzo che potrebbe essere sfruttato dagli investitori avvezzi alla volatilità.

Secondo gli esperti, inoltre, “l’attuale debolezza dei mercati non è un riflesso di fondamentali poveri. Piuttosto, è causato da una confusione di shock idiosincratici che creano rischi molto reali per gli investitori, ma anche opportunità che possono essere colte da investitori attenti e ben posizionati”. Ci aspetterebbe, insomma, un anno da trading più che da cassettisti, come e più di quanto non sia già stato l’anno borsistico appena terminato.

Vorrebbero essere altrettanto fiduciosi, ma appaiono più prudenti, gli uomini di Citigroup: premesso di essere convinti “che la crescita continuerà anche nel 2019”, sebbene quella americana in particolare potrebbe rallentare sino “a circa il 2% entro la fine dell’anno”, gli uomini di Citigroup notano come “il toro sia stato incornato, ma sia ancora vivo, almeno per ora”. Pertanto la previsione è che i mercati azionari a livello globale potrebbero salire l’anno venturo “di circa un 7%”, con Wall Street che potrebbe oscillare attorno al 5% di guadagno nel 2019 “dato che la crescita degli utili rallenterà ma resterà positiva”.

Tuttavia il consiglio operativo degli esperti è di continuare a ridurre l’eventuale sovrappeso azionario in portafoglio (sul portafoglio modello Citigroup ha ridotto la sovraesposizione all’azionario globale dal +4% di inizio 2018 al +1% attuale), conservando sovrappesi “modesti” solo in Europa, nell’Asia emergente e nell’America Latina emergente ma azzerando il sovrappeso sulle azioni Usa (per le quali si suggerisce un peso neutro). Le preferenze sul reddito fisso restano invece maggiormente orientate “verso i titoli di stato statunitensi a breve termine, i bond comunali statunitensi e il debito dei mercati emergenti”. Alla larga da Bund e Btp, dunque, almeno se volete dare retta agli strategist americani.

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