Alitalia, Delta limita l'esborso. Mossa per tirare a campare
Definiti i pesi nella newco. I dubbi di Mion (Edizione Holding) e degli americani sull'operatività
Alitalia come la bella figlia di buona famiglia, che tutti vogliono ma nessuno se la piglia. Nonostante i proclami a favore della “necessità” per l’Italia di possedere una compagnia di bandiera, i problemi industriali e finanziari restano intatti e i potenziali salvatori nicchiano e se intervengono lo fanno più per mantenere buoni rapporti politici (vedi gli “investitori patrioti” prima e Atlantia adesso) che non per un reale interesse industriale.
Prendete Delta, ennesimo socio straniero che dovrebbe varare un’alleanza a prova di ferro come non si sono dimostrate quelle con Klm, Air France ed Ethiad solo per citare le ultime tre. Gli americani sembrano avere un unico obiettivo strategico, quello di limitare eventuali crescita di Lufthansa nel medio e lungo raggio. Per questo sarebbero disposti a entrare in società limando l'impegno con una quota al massimo del 12% (contro un pressing del Governo per salire al 15% dal 10 inizialmente promesso) così da circoscrivere gli esborsi futuri (per il rilancio della compagnia occorrerebbero un paio di miliardi, di cui 900 milioni solo per rimborsare il prestito del Tesoro), ma non sembrano interessati a sborsare più di 120 milioni, in linea con una valutazione di Alitalia di un miliardo di euro, eventualmente con l’impegno a investire altrettanto in base al raggiungimento di certi obiettivi minimi di redditività.
Oltre a essere attenti ai denari gli americani non sembrano disposti a fare particolari concessioni per quanto riguarda gli slot presso gli hub di Atlantia e Boston, pur chiedendone di nuovi a Malpensa, semmai lasciando aperto qualche spiraglio per una revisione delle royalties sulle tratte a lungo raggio per il Nord America, cruciali per Alitalia perché la compagnia continua a viaggiare in rosso sul breve e medio raggio, anche per la maggiore competizione data dalle low cost e dalle linee ferroviarie ad alta velocità, mentre riesce a guadagnare sul lungo raggio, rotte su cui lo scorso anno ha registrato un incremento di traffic odel 6,5%.
Atlantia, destinata ad essere socio al 36,5% come Fs (e dunque a sborsare sui 365 milioni), pare interessata al destino della compagnia soprattutto in funzione di un ulteriore sviluppo dell’attività della controllata Aeroporti di Roma. Ma anche Gianni Mion, dominus di Edizione Holding e appena subentrato a Giovanni Castellucci nella gestione dei dossier infrastrutturali dopo le intecettazioni della vicenda dei controlli non regolari ai viadotti autostradali, potrebbe in realtà tenere d’occhio più la delicata partita della revisione delle concessioni autostradali (da cui nel 2018 è derivato il 32% dell’Ebitda di Atlantia) che non l’andamento del business aeroportuale (8% dell’Ebitda di Atlantia), il cui traffico pure cresce molto di più (+4,2% contro il +0,4% di Autostrade per l’Italia) e sul quale Alitalia pesa il 28,5% in termini di ricavi.
Detto che la partita tra i futuri soci è ancora in corso, con la necessità di trovare un’intesa entro i prossimi 10-15 giorni per poter rispettare la scadenza del 15 ottobre, e che qualche ulteriore aggiustamento è possibile, restano infine due scogli: la governance della “nuova Alitalia”, in particolare per quanto riguarda la scelta del futuro amministratore delegato e la ripartizione dei seggi in Cda, e il ruolo che la compagnia avrà nell’alleanza commerciale Blue Skies di cui già fa parte ma dove un ruolo preminente hanno al momento, oltre a Delta, solo Air France-Klm e Virgin Atlantic.
Cos'è che frena i nuovi capitani coraggiosi? Il problema di fondo, da cui dipende il futuro a lungo termine di Alitalia, resta comunque lo stesso: una compagnia di trasporto dove il socio di maggioranza è pubblico (oltre a Fs il Tesoro entrerebbe col 15% rinunciando ai 150 milioni di interessi sul prestito ponte) e che ancora vola in rosso perdendo oltre 700 mila euro al giorno, continua a veder calare le proprie quote di mercato (sul medio e corto raggio a vantaggio delle low cost e dei treni veloci), non ha consolidato il lungo raggio (le rotte maggiormente redditizie) e ha un basso livello di attrattività nei confronti delle major, se non per finalità meramente tattiche (limitare l’influenza di concorrenti diretti, vedi Lufthansa). Riuscire a trasformare queste “nozze coi fichi secchi” in un vero piano di rilancio in grado di far voltare pagina una volta per tutte ad Alitalia sarà un’impresa tutt’altro che agevole, anche se non necessariamente impossibile.
Luca Spoldi
Commenti