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Economia
Apple, Pechino chiama e La Mela risponde.Così Cook si inchina al denaro cinese

Il 2 dicembre 2015, durante una festa di Natale, SyedRizwan Farook e sua moglie Tashfeen Malik, assaltano l’Inland center di San Bernardino, in California, uccidendo 14 persone e ferendone 22. Prima della sparatoria, Farook e Malik avevano lasciato la figlia di sei mesi con la nonna dicendo che avevano un appuntamento dal medico. Compiuta la strage, i due sono tornati nella loro casa di Redlands, a dieci chilometri da San Bernardino dove sono stati raggiunti dai poliziotti. Hanno tentato la fuga, a bordo di un suv nero, ma sono stati uccisi. Ai fini delle indagini, l'iPhone dell'attentatore divenne centrale ma Apple si rifiutò di decriptarlo.

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Non lo faremo perché sarebbe un precedente troppo pericoloso”. In un messaggio ai propri clienti, il ceo Tim Cook disse che costruire una “back door” per accedere ai dati criptati dell’iPhone di Syed Farook sarebbe stato “un passo senza precedenti, una minaccia per la sicurezza dei nostri clienti”. In pratica il Bureau aveva richiesto all'azienda di Cupertino di realizzare una versione speciale del sistema operativo iOS da installare sul telefono al fine di aggirare il blocco con pin. Un simile strumento, se fosse finito nelle mani sbagliate, avrebbe messo a repentaglio la sicurezza di milioni di utenti iPhone.

Per questo Apple si oppose, avviando una procedura legale che si è conclusa a fine marzo 2016 con il ritiro della richiesta da parte dei federali. Un anno dopo che lo scontro legale tra Apple e l’FBI vide la fine, si seppe dalla voce della senatrice democratica Dianne Feinstein, che il prezzo pagato dai federali per sbloccare l’iPhone del terrorista era stato di 900.000 dollari. Tanto è costato al governo USA il rifiuto di Apple a cooperare con le indagini.

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Dunque, alla luce di ciò possiamo affermare che è diventata un’ipotesi possibile quella che una società privata si rifiuti di obbedire alle istanze della Legge, anche di fronte a un caso di sicurezza nazionale, in nome di un omnicomprensivo diritto del cliente. Per Cupertino, ha senso, perché è una questione di coerenza con il proprio motto “Think different”. Veniamo ai giorni nostri, che sono caratterizzati dalla questione tesa tra USA e Cina sui dazi. Ebbene in questi giorni Apple ha annunciato la rimozione della controversa app HKmap.live, perché Pechino ritiene che a Hong Kong venga utilizzata per tracciare l'attività della polizia. Si tratta di una app che funziona sulla base della raccolta di informazioni di crowdsourcing e che individua e segnala la presenza nei paraggi, di agenti o di veicoli della polizia.

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Durante i mesi di protesta, a Honk Kong ci sono stati qualcosa come duemila feriti e centinaia di arresti, fino a ora. Apple è stata accusata dalle autorità di essere complice dal momento che mette a disposizione della protesta uno strumento che consente di eludere il confronto con le forze dell’ordine. La società californiana ha spiegato in una nota che la scelta della rimozione è maturata dopo una serie di indagini che hanno chiarito che veniva usata violando gli standard di utilizzo previsti. Così, sull’App Store cinese non è più possibile scaricarla.

Sulla vicenda Hong Kong negli ultimi tempi si è visto di tutto, mi direte, finanche la National Basket Association per un tweet si è trovata in un brutto pasticcio che mette a repentaglio soldi sponsor e finanziamenti. Finanche un cartone animato, South park, si è ritrovato oggetto della censura cinese tant’è che gli autori storici hanno commentato ironicamente: “Queste sono scuse ufficiali alla Cina. Come l'Nba, diamo il benvenuto ai censori cinesi nelle nostre case e nei nostri cuori. Anche noi amiamo i soldi più della libertà”.

Perciò, a ben guardare tutti i grandi marchi internazionali si sono scusati o hanno comunque ceduto alle pressioni cinesi. Con lo stesso atteggiamento assunto dal big della tecnologia di Cupertino. Però sull’App Store cinese non è più possibile scaricare neanche quella di Quartz, cioè della rivista americana che in questi mesi è stata particolarmente attiva nel raccontare le proteste di Hong Kong. Così come era stata rimossa anche la bandiera di Taiwan, provincia ribelle e di cui Pechino non ha mai riconosciuto l’indipendenza del 1949, dal bouquet degli emoji disponibili a Hong Kong.

Think different? Gli affari sono affari, si suole dire, ma qui ci troviamo in un rapporto di forza inconsueto. È vero che la Cina da anni tende a boicottare le aziende che contraddicono la sua visione del mondo tanto da avere consolidato il metodo della rappresaglia economica. Ma il terreno su cui avvenivano le battaglie era quello politico mentre diplomazia e commercio erano le armi. Oggi la politica conta tanto quanto la legge civile, poco o niente rispetto ai grandi mercati. In questa storia lo stato USA conta meno dello stato Apple che però a sua volta conta meno dell’impero Cina il quale vanta un esercito di un miliardo di potenziali consumatori ben più di tutti gli Stati Uniti d’America messi insieme.

Basta capire le gerarchie. Sono i numeri a fornirci i maggiori indizi per capire quali siano le priorità nelle scelte e nelle strategie aziendali, oltre 1 miliardo di potenziali consumatori (in un mercato quasi vergine) rispetto a 250 milioni (in un mercato saturo e di sola sostituzione) sono un buon motivo, per Apple, per arrivare a più miti consigli.

Sarà per questo che Huawei, prima facendo spallucce agli ostacoli di Google (quest’ultima ha tolto la licenza d’uso di Android a Huawei) costruendosi il sistema operativo Harmony in casa, si è dimostrata indifferente anche al tema dazi e al blocco imposto da Trump? Huawei il mercato di sbocco ce l’ha in casa e con il benestare delle autorità. Per tutti quelli che vorranno prendere una fetta di mercato cinese, sappiate che sarà come andare al Bernabeu a giocare contro il grande Real.

@paninoelistino

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