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Economia
Astaldi, rumors: banche in pressing sulla famiglia: passo di lato e spezzatino
PAOLO ASTALDI 

Motivi per essere nervosi in questi giorni ve ne sono assai per gli investitori, dalle polemiche al calor bianco tra il presidente Donald Trump e il numero uno della Federal Reserve (su nomina dello stesso Trump) Jerome Powell in merito ai futuri rialzi dei tassi americani all’andamento “ballerino” dello spread Btp-Bund fino a situazioni di crisi in alcuni mercati emergenti come la Turchia, il Venezuela o il Brasile, per non parlare della possibile guerra commerciale Usa-Cina.

Siccome quando cresce il nervosismo gli investitori più prudenti tendono a mettersi alla finestra, è bastata la voce, peraltro subito smentita, di tensioni tra la famiglia Astaldi, che controlla col 52,76% l’omonimo secondo maggior gruppo di costruzioni in Italia, e le banche creditrici (25 in tutto tra cui Unicredit, Intesa Sanpaolo, Banco Bpm e Bnl-Bnp Paribas) circa l’opportunità di cercare ancora un “cavaliere bianco” piuttosto che accettare le “attenzioni” della rivale Salini-Impregilo, per far scattare nuove vendite sul titolo, che a fatica riesce a scambiare a Piazza Affari tra ripetute sospensioni a causa di prezzi in calo fino al 18% nel corso della seduta.


 

In attesa di vedere come andrà a finire e in particolare di sapere se il Tribunale di Roma concederà il concordato preventivo “con riserva”, i fondi Fmr (Fidelity) hanno deciso di alleggerire la partecipazione al 4,3%, dal 7,13% accreditato a dicembre 2017 ed anche in questo caso il segnale non è stato dei migliori. Commentano del resto alcuni analisti: il susseguirsi di differenti ipotesi finisce con l’alimentare ulteriore incertezza sull’esito finale della ristrutturazione del gruppo il cui titolo ha già perso circa il 90% rispetto alle quotazioni di 12 mesi fa.

Difficile sperare che la situazione possa raddrizzarsi senza che si faccia chiarezza sul futuro del gruppo: gli investitori vogliono capire anzitutto quale sarà l’impegno finanziario per ristrutturare il debito (si è passati da ipotesi che parlavano di 1,5 miliardi a voci che indicano in almeno 2 miliardi la cifra da mettere sul piatto, con un taglio del 20% del debito e nuovi finanziamenti per 200-300 milioni), poi quanta parte sarà reperita tramite un aumento di capitale (dai 300 milioni dell’operazione che avrebbe dovuto gestire Jp Morgan, poi tiratasi indietro, si è già saliti a 600 milioni), infine resta da capire se effettivamente i giapponesi di Ihi, che avrebbero dovuto partecipare all’aumento poi saltato, sono ancora interessati e a quali condizioni.

Anche l’ipotesi di un “abbraccio” con Salini-Impregilo non offre maggiori certezze: secondo alcune fonti si punterebbe ad uno spezzatino del gruppo, col business Costruzioni destinato a confluire nel nuovo gruppo mentre sarebbero cedute le attività legate alla Concessioni Estere.

Ma gli analisti di Websim appaiono scettici al riguardo: un eventuale interesse di Salini Impregilo secondo gli esperti sarebbe infatti confinato agli asset in Nord America, mentre sarebbe poco probabile un’acquisizione “in toto” del segmento Costruzioni, in quanto l’operazione sarebbe “incoerente con la politica di diversificazione geografica e di contenimento del rischio intrapresa dalla società milanese negli ultimi anni”.

Luca Spoldi

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