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Economia
Auto, Trump minaccia ancora i dazi. La crescita Ue 2020 appesa a The Donald

L’ultima indiscrezione del Washington Post sul fronte delle guerre commerciali di Donald Trump ha trovato conferma oggi nelle parole del ministro della Difesa tedesco, Annegret Kramp-Karrenbauer. Parole che hanno fatto tremare i polsi di quanti temono che, raggiunto (almeno parzialmente) un primo accordo con la Cina sulla questione dei dazi, il tycoon newyorkese sia pronto a riaprire il fronte europeo. Una ripresa delle ostilità commerciali nei confronti dell'altra sponda dell'Atlantico dopo i dazi del 2018 sull’acciaio e l’alluminio, dopo le barriere tariffarie dell’ottobre scorso ad alcuni prodotti agroalimentari di pregio fra cui i formaggi, i salami e i liquori italiani, e dopo le ritorsioni nei confronti dei prodotti del colosso dell’aviazione europea Airbus. 



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Negli Stati Uniti le elezioni presidenziali sono quasi dietro l’angolo e, oltre al decennio di crescita economica appena messo a segno, The Donald è pronto a rivendicare con l’elettorato i successi verso i due grandi rivali commerciali: Pechino e Bruxelles.

L’esponente del governo Merkel ha confermato che la scorsa settimana, in piena escalation delle tensioni fra Washington e Teheran sul caso Soleimani, l'amministrazione Trump ha minacciato la Germania, il Regno Unito e la Francia di imporre tariffe di importazione del 25% sulle loro auto se non avessero attivato il meccanismo di risoluzione delle controversie dell'accordo nucleare iraniano.

"Questa espressione o minaccia, qualunque cosa la vogliamo definire, esiste", ha spiegato il ministro tedesco durante una conferenza stampa a Londra.

 A metà novembre, il presidente americano aveva fatto passare sotto silenzio la scadenza della proroga di 180 giorni della decisione sui dazi del 25% alle auto europee. Tariffe che se entrassero in vigore azzopperebbero il motore dell’economia tedesca e dell’Eurozona (e a cascata della componentistica italiana). Un settore che già quest’anno è stato stritolato dagli scandali sulle emissioni, dai divieti di circolazione, dalla transizione epocale verso i veicoli elettrici e dal rallentamento dell’import cinese di quattroruote e dell’economia globale. E le cui difficoltà si sono riverberate a cascata sulla crescita tedesca finita ai minimi dal 2013 (Pil +0,6% mentre nel 2018 l’incremento era stato dell’1,5% e nel 2017 del 2,5%).

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Dopo l’insediamento (il 1° dicembre) della nuova Commissione von der Leyen, il responsabile del Commercio europeo Phil Hogan ha deciso di andare in missione negli States per cercare di rilanciare i rapporti commerciali fra Washington e Bruxelles, una visita ancora in corso anche perché le questioni irrisolte sui due lati dell’Atlantico sono tante.

Non c’è infatti solo il fronte automotive. Un’altra situazione complicata è quella legata alle esportazioni verso gli Stati Uniti di olive nere spagnole. Flussi commerciali che nel 2018 hanno subito l'introduzione di tariffe e dazi di oltre il 50% da parte di Washington in protesta contro i sussidi pubblici di Madrid.

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Sul fronte tech, poi, gli Usa hanno minacciato dazi contro la digital tax francese e italiana, prelievi che colpiscono Google, Apple, Amazon, giganti della Silicon Valley accusati di sottrarre ai gettiti fiscali nazionali di Roma e Parigi importanti risorse da destinare alle misure espansive di politica economica.

E la Casa Bianca, per proteggere il colosso a stelle e strisce Boeing, ha anche fatto temere di alzare i dazi già imposti su 7,5 miliardi di import dall’Europa, come ritorsione per i sussidi erogati al consorzio europeo dell’aviazione civile Airbus, condannati anche dalla Wto. Tutto questo fa sì che sull’export di Roma incomba una mannaia tariffaria che potrebbe colpire anche vino e pasta, prodotti tricolori scampati all’ultimo giro di vite sui dazi americani nei confronti dell’Europa.

Intanto, gli effetti dell’accordo sulla fase uno Stati Uniti-Cina che prevede che Pechino aumenti del 30% all’anno l’acquisto di prodotti agroalimentari statunitensi (per riequilibrare la bilancia commerciale fra le prime due economie mondiali), rischia di avere effetti negativi sull’export del Vecchio Continente verso il Dragone e sull’import di soia statunitense (il primo fornitore) da parte dell'Europa. "L'intesa Cina-Usa influenzerà il nostro export in Cina? Forse si'", ha avvertito infatti il presidente della Camera di Commercio Ue in Cina Joerg Wuttke che ha ricordato come nel 2019 gli Usa abbiano esportato nel Colosso d’Oriente beni per 122 miliardi, in calo del 20% annuo.

Conte Trump
 

“Gli Usa hanno sempre sostenuto la concorrenza e l'apertura ed è molto interessante vedere che ora dicono alla Cina cosa comprare e dove acquistarlo. All'improvviso, il leader del mondo libero inizia a diventare un sistema che ricorda quello cinese. E' ironico”, ha concluso Wuttke, criticando la Casa Bianca. Insomma, le nubi che incombono sull’economia europea e italiana, che nelle stime del governo Conte dovrebbe crescere di un altro asfittico 0,6% nel 2020, sono lontane dal diradarsi.

@andreadeugeni

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