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Economia
Autonomia, rispuntano le Gabbie salariali. Lite 5S-Lega anche sui contratti
Foto LaPresse

Non solo la scuola e cioè la regionalizzazione del sistema scolastico. Anche le Gabbie salariali. Nell’ennesimo vertice di stamane sull’autonomia, Lega e M5S litigano anche sugli stipendi da offrire agli insegnanti per “migliorare -a detta della Lega - l’offerta formativa”. Una proposta che fa infuriare il M5S. 

"Al vertice sull'autonomia oggi la Lega ha proposto di inserire le gabbie salariali, ovvero alzare gli stipendi al Nord e abbassarli al Centro Sud. Per il M5S è totalmente inaccettabile”, hanno sottolineato infatti fonti dei pentastellati, confermando la situazione di impasse che si è determinata nella riunione di questa mattina."Una simile proposta - denunciano i 5 Stelle - spaccherebbe il Paese e la consideriamo discriminatoria e classista. Impedirebbe ai giovani di emanciparsi, alle famiglie di mandarli a studiare in altre università, diventerà difficile e costoso anche prendere un solo treno da Roma a Milano. Tra l'altro è già stata in vigore in passato con pessimi risultati e giustamente venne abolita nel '72. Reintrodurla significa riportare l'Italia indietro di mezzo secolo. E’ follia pura”.

salvini di maio
 

Parole a cui sono seguite quelle del ministro grillino Barbara Lezzi. "Non abbiamo parlato noi di gabbie salariali ne ha parlato la Lega che vuole tornare indietro di 50 anni, noi vogliamo andare avanti, non tornare indietro. Se ci sono meccanismi che premiano alcune categorie, noi non siamo d'accordo. Ci sono meccanismi per persone svantaggiate, ma il problema degli stipendi riguarda tutti nel mondo della scuola: dovremmo fare una riforma per portare gli stipendi degli insegnanti nella media europea”, ha spiegato la Lezzi. 

La replica del Carroccio non si è fatta attendere. Terminato il vertice a Palazzo Chigi, all’esponente pentastellata ha risposto infatti a stretto giro  il ministro per gli Affari regionali Erika Stefani. ”Non abbiamo proposto nessuna Gabbia salariale, solo strumenti che esistono già nel nostro ordinamento, dagli incentivi della contrattazione integrativa per dare continuità dell'offerta formativa e ovviare alle carenze di organico", ha spiegato la leghista. "Quello che noi vogliamo fare con l'autonomia - ha sottolineato - è una valorizzazione del territorio e una responsabilizzazione. Se il meccanismo che viene proposto alimenta l'inefficienza e non vuole dare alcuna premialità stiamo ragionando su piani completamente diversi", ha concluso.

Il meccanismo alla base delle cosiddette gabbie salariali che, archiviato da quasi cinquant'anni, torna talvolta ad alimentate il dibattito politico sul fronte del lavoro è quello dei salari parametrati al costo della vita nelle diverse aree territoriali. Il tema è particolarmente caro alla Lega, che nel 2005 le ipotizzo' per il rinnovo del contratto dei dipendenti pubblici e nel 2009 fu un cavallo di battaglia del loro leader Umberto Bossi alimentando una lunga polemica agostana. Di gabbie salariali, anche se impropriamente, si è parlato anche durante il confronto per potenziare il secondo livello contrattuale, che ovviamente avvicina una parte del salario alle diverse realtà aziendali, a scapito invece del contratto nazionale.

In Italia le gabbie salariali, che secondo alcuni sono state tra le ragioni che hanno alimentato il differenziale di crescita tra il Nord e il Sud, sono state cancellate dal 1969. Vi fu una stagione di lotta dei sindacati e dei lavoratori che le consideravano discriminatorie che porto' alla loro cancellazione anche se, concretamente, lo stop completo alla loro applicazione e' scattato nel 1972. L'introduzione arrivo' con un accordo firmato il 6 dicembre 1945 tra industriali e organizzazioni dei lavoratori, ma la loro prima entrata in vigore venne fissata nel 1946, prevista inizialmente solo al Nord.

Solo dal 1954 vennero estese a tutto il Paese. Dalle quattro zone iniziali si passo' allora a 14 aree nelle quali si applicarono salari diversi a seconda del costo della vita, con differenze che potevano arrivare fino a sfiorare il 30%. Poi dal 1961 il numero delle zone fu dimezzato e il gap si ridusse dal 29 al 20%. Inizialmente erano previste quattro diverse zone, diventate poi per la parametrazione dei salari sulla base del costo della vita nei diversi luoghi. Entrate in vigore nel 1946, all'inizio furono previste solo al nord, e solo in seguito estese a tutto il Paese.

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