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Economia
Autostrade, piano in arrivo entro gennaio. Sui Benetton ipoteca da 5 miliardi

Atlantia tira il fiato e rimbalza in borsa, in attesa del varo del prossimo piano industriale della controllata Autostrade per l’Italia (Aspi), nella seconda metà di gennaio, con cui il gruppo controllato dalla famiglia Benetton proverà a evitare l’ipotesi, che gli analisti finanziari continuano a ritenere remota ma sulla quale insiste il leader politico di M5S, Luigi Di Maio, di una revoca delle concessioni autostradali, proponendo un’accelerazione in tema di innovazione e sostenibilità, nonché di manutenzione della rete autostradale. Ma nel caso in cui la revoca dovesse concretizzarsi, chi rischierebbe maggiormente, oltre ad azionisti e dipendenti del gruppo?

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Come noto dopo l’acquisizione di Abertis (costata 29,3 miliardi) l’indebitamento netto di Atlantia è schizzato da meno di 9,5 miliardi a oltre 37,9 miliardi a livello consolidato. Le banche che lavorano col gruppo italiano sono esposte direttamente verso Atlantia per 3,9 miliardi (con scadenza tra giugno e settembre 2023) attraverso i finanziamenti concessi per l’acquisizione di Abertis, mentre ad altri 8,4 miliardi di euro ammontava (a fine settembre) l’indebitamento finanziario netto di Aspi.

Nel complesso le linee di credito sono state concesse a vario titolo da istituti esteri (Credit Suisse, Credit Agricole, Societe Generale, Natixis, Jp Morgan, Bank of America Merrill Lynch, Deutsche Bank e Citigroup) e italiani (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Bnl-Bnp Paribas, Ubi Banca, Banco Bpm e Bper Banca), oltre che da Cassa depositi e prestiti, che a fine 2018 vedeva utilizzati 400 milioni degli 1,7 miliardi di euro di finanziamenti concessi ad Aspi (utilizzabili fino al 2021-2022 e con scadenza tra il 2022 e il 2027).

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Nel caso di una revoca delle concessioni autostradali a rischio sarebbero quanto meno gli oltre 2,5 miliardi di finanziamenti che Autostrade per l’Italia deve rimborsare, per 2,1 miliardi alle banche, entro il 2021, interamente a tasso fisso, pari in media al 3,6%, e i 2,8 miliardi che deve rimborsare Atlantia per l’83,7% a tasso fisso, attorno all’1,8% medio annuo sempre nei confronti degli istituti di credito (dato che però sale a 4,7 miliardi se si estende lo sguardo al 2023).

Come dire che sui Benetton pende un’ipoteca “a vista” o quasi da oltre 5 miliardi in mano alle banche, distinta e separata da quella da 1,7 miliardi in mano a Cassa depositi e prestiti che scadrebbe poco dopo. Vanno infine aggiunti quanto meno un altro mezzo miliardo circa di interessi e rimborsi di prestiti bancari contratti da Aspi il cui pagamento era previsto nei prossimi tre esercizi.

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Impossibile al momento ottenere un dettaglio più preciso dell’esposizione delle diverse banche creditrici, che non viene riportata neppure nei bilanci ufficiali di Atlantia e Autostrade per l’Italia (come pure dei singoli istituti). Ipotizzando però una ripartizione tra gli istituti che rifletta la loro quota di mercato italiana per quanto riguarda l’erogazione del credito, un 25%-30% circa dovrebbe far capo tanto a Unicredit quanto a Intesa Sanpaolo, un 10%-15% sia a Banco Bpm sia a Ubi Banca, il restante 10%-20% a Bper Banca e Bnl-Bnp Paribas.

In soldoni le prime due banche italiane potrebbero essere esposte fino a 1,6-1,7 a testa, i due “pesi medi” lombardi potrebbero rischiare dai 400 a 700 ciascuno, Bper Banca e Bnl-Bnp Paribas si dividerebbero i restanti 400 milioni circa di esposizione.

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Se così fosse nelle prossime settimane la borsa potrebbe fare due conti e penalizzare (o premiare in caso di accordo) i titoli degli istituti maggiormente coinvolti. Per quanto riguarda invece le nuove strategie industriali, secondo quanto riferisce Mf-DowJones, il piano dovrebbe avere una durata complessiva triennale anche se alcuni obiettivi, come ad esempio quello di ammodernamento della rete autostradale, potrebbero avere dei target anche molto più ravvicinati.

La spina dorsale sarà costituita dal "ravvedimento operoso". Nel dettaglio Aspi dovrebbe realizzare un piano molto ambizioso di investimenti, del valore di alcuni miliardi, che prevederebbe la ristrutturazione di tutta la rete oggetto della concessione mediante l'utilizzo delle le migliori tecnologie disponibili sul mercato. Una scelta che avrebbe molteplici vantaggi.

Il primo sarebbe quello di restaurare la fiducia dell'utenza nella solidità e nella tenuta dell'infrastruttura. Il secondo sarebbe fornire a Mit e più in generale al Governo una prova tangibile della discontinuità rispetto al recente passato.

Luca Spoldi

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