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Economia
Banche cooperative, duro colpo alla riforma Renzi. 6 mesi di moratoria e poi..

Ricordate la riforma voluta da Matteo Renzi sulle banche di credito cooperativo? Il governo giallo-verde (Conte-Salvini-Di Maio) è in procinto, come annunciato a giugno dal premier Giuseppe Conte, di dare un colpo mortale alla riforma voluta dall'ex premier Pd.

In estrema sintesi. Le sofferenze del sistema bancario italiano e la crisi di modello della stagione 2007-2012 (nata dopo l'esplosione dei mutui sub-prime americani) avevano portato il sistema bancario all'attenzione degli istituti di vigilanza e dei governi; in Italia la luce è caduta anche sulle circa 300 banche di credito cooperativo. Nonostante la crisi abbia mostrato che il problema albergasse soprattutto nelle grandi banche, di dimensioni troppo elevate per fallire, piene di crediti deteriorati (oltre a derivati ed altro) ed in grado di condizionare le scelte della politica, da qui è partita la riforma Renzi: accorpare le banche di credito cooperative in poche s.p.a.

La riforma, tra le altre cose, prevedeva l'ampliamento dei soci con l’innalzamento del capitale da loro detenibile, da 50.000 a 100.000 euro, e del numero minimo dei soci che ogni Bcc deve avere, da 200 a 500. Trasformando quindi le Bcc in tutt'altro che piccoli istituti vicino al territorio.

Le banche cooperative dovevano poi confluire in una s.p.a. (Gbc), condizione questa per il rilascio dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria.

Ma le circa 300 banche cooperative diffuse sul territorio italiano anche con conflitti di interesse interni, storture e cattive gestioni, nel 2014 avevano coefficienti patrimoniali più elevati del resto del sistema bancario. Più interessante sarebbe stato se fosse stato adottato un modello di riforma simile a quello tedesco: prevede che le piccole e medie banche si prestino garanzia reciproca e mutuo soccorso in caso di difficoltà e non siano fuse in un unico gruppo; limitando anche la durata delle singole cariche istituzionali interne al fine di evitare l'insediamento di poteri localistici riproducibili a vita (come è stato in tanti casi)

In molti invece come la Federazione Nazionale delle Bcc (Federcasse) che ha promosso la riforma Renzi, hanno visto nell'accorpamento voluto dal governo Pd la possibilità della creazione del quarto polo bancario nazionale. Poli di queste dimensioni finiscono sotto il controllo dalla Banca centrale europea (Bce).

Così mentre gli altri Paesi europei evitano che le loro piccole e medie banche finiscano sotto questa vigilanza, a cui poco o niente interessa lo sviluppo di uno specifico territorio, i nascenti gruppi di Bcc dovevano assumere dimensioni tali da cadere proprio sotto detta vigilanza centralizzata europea.

Ma con l'avvento del governo giallo-verde la riforma si è inceppata. Se la capogruppo di credito cooperativo altoatesino Raiffeisen è in attesa della prima autorizzazione della Bce, è molto probabile che il governo inserisca  nel decreto Milleproroghe di fine luglio un rinvio di altri 6 mesi della riforma. Il tempo sufficiente per modificarla. 

“Sono in atto una serie di riflessioni e i necessari approfondimenti tecnici per porre in essere le opportune iniziative al fine di dare attuazione a quanto preannunciato dal premier (Conte, ndr)”, ha dichiarato sul tema ad inizio luglio il viceministro all'Economia Massimo Garavaglia (esponente della Lega). “Una revisione della riforma in atto”, ha aggiunto spiegando che serve, “soprattutto per recuperare la tradizionale funzione del credito cooperativo nel rispetto del primario obiettivo di supportare in modo adeguato il tessuto produttivo delle piccole e medie imprese sul territorio”. 

L'intento del governo sembra quello di far tornare le piccole banche di credito cooperativo alla propria autonomia e ad erogare credito alle micro e piccole imprese locali, senza essere sottomesse alla capogruppo (Gbc) nelle scelte strategiche. 

Nei prossimi giorni dovrà dare una direzione politica al caso il ministro dell'Economia Giovanni Tria. Ma la modifica della riforma dovrebbe seguire questa probabile strada: istituti più piccoli che aderiscono ad un fondo comune e non a una capogruppo e sotto la vigilanza della Banca d’Italia e non della Bce.

Intanto, per i 6 mesi previsti si sospenderebbero le previsioni di legge con la proroga delle funzioni del fondo temporaneo obbligatorio del sistema che interviene in caso di crisi bancaria.

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