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Economia
Banche, Draghi accende un faro. Moody's rivede il voto di 12 istituti

 

Mentre la capitalizzazione in Borsa delle banche italiane continua a erodersi (di oltre un terzo del proprio valore: dal 15 maggio, appena diffusa la prima bozza del contratto di governo M5S-Lega con il controverso punto sulla cancellazione del debito italiano in pancia alla Bce, l'indice Ftse Italia Banche dal 15 maggio ha perso oltre il 35,5%), Mario Draghi accende un faro sugli istituti di credito del nostro Paese. Complici l'allargamento dello spread Btp-Bund da troppi giorni attorno a quota 300 punti base, il rallentamento dell'economia italiana e le incertezze attorno all'impatto per il 2019 della prossima legge di Bilancio che potrebbe non centrare l'obiettivo del 2,4% del rapporto deficit/Pil fissato dal governo Conte.

Banche: Moody,s, rivede voto 12 istituti dopo downgrade Italia

Dopo il declassamento del debito sovrano del'Italia di venerd' scorso, Moody's, come previsto, adotta misure su 12 banche italiane. L'agenzia ha abbassato il rating sul deposito a lungo termine e il rating sul rischio di controparte di 8 banche, il rating sul debito a lungo termine di 3 istituti e la valutazione sul rischio di controparte a lungo termine di 7 banche. Inoltre Moody's ha rivisto da 'positivo' a 'stabile' l'outlook sul deposito a lungo termine e sul debito senior unsecured di UniCredit e sul debito a lungo periodo di Fca Bank. Moody's ha anche confermato la valutazione sul rating standalone di Banca Imi a baa3 e quella di Credit Agricole Cariparma a ba1. Le misure annunciate da Moody's riguardano UniCredit, Intesa Sanpaolo, Banca Imi, Cassa Depositi e Prestiti, Mediobanca, Cariparma, Fca Bank, Bnl, Credito Emiliano, Cassa Centrale Raiffeisen, Invitalia e Banca del Mezzogiorno. 

Bce e Bankitalia, infatti, sono scese in campo per tenere sotto stretta osservazione le due voci più delicate dello stato di salute delle banche: la liquidità e gli indici patrimoniali, sotto pressione per il deprezzamento dei titoli di Stato. Secondo i dati di Via Nazionale, le banche italiane hanno nelle loro pance ben 353 miliardi di euro di titoli di Stato nazionali e un aumento strutturale dello spread tra Btp e Bund di 100 punti base (era a quota 138 il 5 marzo, dopo il voto alle Politiche, mentre ora viaggia sopra i 300) comporta un’erosione di 37 punti base nel capitale Core Tier 1 degli istituti.

Sul caso Italia, la Bce dalla scorsa settimana, secondo quanto risulta al Messaggero, ha organizzato più conference call con le banche nazionali "significant", e cioè quelle grandi e medio-grandi. Vale a dire Intesa Sanpaolo, UniCredit, Banco Bpm, Ubi, Mps, Mediobanca, Carige, Bper, Pop Sondrio, Credem, Iccrea. E ha fatto sapere che queste verifiche settimanali si protrarranno.

Un paio di volte la settimana, invece, questi istituti, ma anche gli altri della fascia intermedia, devono comunicare a Bankitalia lo stato della loro liquidità. Un doppio check dei regolatori sulle condizioni delle banche che possono avere finalità diverse.

Il livello Lcr (Liquidity coverage ratio) prescrive che l'istituto abbia attivi liquidi di alta qualità non vincolati, composti da contanti e attività subito convertibili in cash per soddisfare un bisogno di liquidità nell'arco di 30 giorni in uno scenario di stress predefinito dall'Autorità. Questo indicatore che doveva essere maggiore del 60%, ora dev'essere più alto del 100%. Insomma, nonostante nel primo semestre dell'anno le prime cinque banche nazionali abbiano ottenuto un utile cumulato di cinque miliardi di euro, già dalla scorsa estate l'ancora buona congiuntura economica e uno spread attorno ai 100 punti base sono ormai un lontano ricordo.

Nagel
 

Per gli istituti di credito nazionali si prospettano mesi difficili in cui potrebbero finire anche oggetto degli appetiti dei gruppi stranieri, nonostante i risultati sulla riduzione delle sofferenze (dimezzate dal picco della crisi a 40 miliardi) e il taglio dei costi raggiunti.

Nel secondo semestre, oltre all'impatto della crescita dello spread sul portafoglio dei titoli di Stato, anche il rallentamento dell'attività economica farà sentire il propriop effetto sul patrimonio bancario, erodendolo e rendendo ancora più vulnerabili gli istituti di credito tricolori.

Se poi, nei prossimi mesi, il differenziale resterà alto questo, il caro-spread inizierà a traslarsi sui tassi applicati e passerà ai consumatori e ai clienti finali attraverso l'aumento delle commissioni, mentre è possibile che si verifichi una stretta del credito erogato generando così un moltiplicatore negativo per la crescita. Situazione che, assieme ai downgrade delle agezie di rating sul debito italiano, potrebbe far rivivere all'Italia, secondo il capo economista di UniCredit Erik Nielsen, "il brutto film" del 2010-2012.

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