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Economia

Di Gianni Pardo

A volte la realtà offre gratuitamente un ottimo esempio per illustrare una tesi. Oggi questo regalo ce lo fa la situazione delle banche. 

In origine, le banche erano una catena di negozi in cui i clienti andavano per depositare il loro denaro, per ritirarlo, ecc. Tutti sanno di che parliamo, perché questo è il modello di banca che siamo abituati ad immaginare. Ma oggi le cose possono andare diversamente. Ritirare contante? Non è necessario entrare nella filiale. Basta un qualunque bancomat. Versare denaro nel proprio o nell’altrui conto corrente? Nessuna difficoltà: un bonifico si può fare dal pc casalingo. Riscuotere lo stipendio, pagare le bollette delle forniture? Se si dà l’incarico alla banca, queste operazioni le fa essa stessa, alla scadenza. Insomma, più si descrive come può funzionare una banca, più si scopre che non è necessario il pellegrinaggio in filiale, a cominciare dalla camera di decompressione che vi punisce se avete in tasca le chiavi di casa.

La filiale della banca come la conoscevamo non è più necessaria e l’istituto di credito non ha motivo di sobbarcarsi i suoi enormi costi in termini di canoni di locazione, arredi, telefoni, computer, e soprattutto stipendi degli impiegati.

Morale: bisognerebbe chiudere in Italia qualcosa come la metà delle trentamila filiali, magari in attesa di chiuderle tutte, conservando soltanto un ufficio centrale per le operazioni più complesse. Ma chiudere quindicimila filiali corrisponde a fare a meno di moltissimi bancari. E si possono licenziare centocinquantamila lavoratori, in un momento in cui, probabilmente, non riusciranno assolutamente a trovare un’altra occupazione? Anche a volere mandarne una buona parte in pensione, anticipatamente, il costo è astronomico e le banche non se lo possono permettere. E allora si esita, si rinvia, si aspetta, in una posizione economica sempre più precaria. In questo campo riescono meglio le banche che nascono direttamente secondo il nuovo modello, come la Banca Mediolanum: le vecchie hanno ineliminabili inerzie e problemi pressoché insolubili.

Ma giochiamo di fantasia: le banche si accorgono che le filiali sono un peso inutile e procedono a chiuderle tutte. Così sono licenziati circa trecentomila bancari. Questi lavoratori – gente alfabetizzata e capace – si riciclano in nuove attività e, dopo un doloroso periodo di aggiustamento, rientrano nel mondo del lavoro. L’episodio è dimenticato. Ma è lecita la domanda: come mai nell’ipotesi troverebbero un nuovo lavoro, e nella realtà attuale non lo troverebbero? 

La risposta è semplice. In un mondo in cui si licenzia, non sono licenziati soltanto i bancari. E si liberano continuamente posti di lavoro. Si ottiene cioè quella che si chiama “mobilità”: l’occupazione va dove ce n’è necessità (e dove è offerta una remunerazione) e finisce dove non è più redditizia. Del resto, non si dice che oggi bisogna dimenticare l’idea del posto fisso, dall’inizio dell’attività lavorativa al momento della pensione? Il cambiamento di attività è normale. 

E prima di proseguire c’è un concetto che va sottolineato: la mobilità non è a somma zero. Non è che se un lavoratore si sposta dal posto A al posto B non cambi nulla. Se il posto B produce più ricchezza, quand’anche lo stipendio del lavoratore rimanesse invariato, il Paese diverrebbe più ricco: proprio perché quel posto produce più ricchezza.

Tutto questo è bellissimo come punto d’arrivo, ma è tremendo come punto di partenza. Se le banche, nel giro d’un paio d’anni, licenziassero trecentomila persone, queste persone in larga misura rimarrebbero disoccupate e, diciamolo pure, frustrate e disperate. Perché quella mobilità che assicurerebbe il loro riassorbimento nel mercato del lavoro non sarebbe ancora funzionante. Sarebbe assicurata la loro uscita, non il loro rientro. Dal punto di vista dell’economia nazionale sarebbe soltanto un passaggio, e la situazione da quel momento comincerebbe a migliorare: ma nel frattempo quelle persone potrebbero anche suicidarsi. Dunque l’ipotesi è inverosimile o – quanto meno – sarebbe attuabile in tempi lunghissimi.

In altri termini, non bisognava arrivare alla situazione attuale, perché ora non si sa più come correggerla. È vero che nel caso dell’esempio la soluzione sarebbe il licenziamento di quell’esercito di lavoratori – con grande beneficio delle banche e dell’economia nazionale – ma nel frattempo quel beneficio sarebbe pagato con la sopravvivenza economica di centinaia di migliaia di famiglie.

La conclusione è semplice: ogni volta che si tenta di rendere morale l’economia – per esempio con il posto fisso e intangibile – il risultato, nel lungo termine, è l’immiserimento nazionale. L’Italia ne offre un esempio da manuale. 

Ci siamo infilati in un vicolo cieco, e la morale non ci consente nemmeno di uscirne a marcia indietro. Bisognerà aspettare una catastrofe economica che, per sua natura, non conosce morale.

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banche esuberibanche dipendenti da tagliarebancari piano esuberi





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