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Economia
Banche, le sofferenze fanno gola. Anche Generali nel business

Seduta dai toni dimessi per il titolo Generali a Piazza Affari, dove il titolo cede circa mezzo punto percentuale, dopo l’annuncio della sottoscrizione di una tranche da 990 milioni di euro nominali, pari al 30% delle obbligazioni a breve termine emesse dal veicolo finanziario Onif a fronte della cartolarizzazione delle sofferenze del gruppo Unicredit (che da parte sua ha portato dal 49,9% a meno del 20% la partecipazione nella holding che gestisce il portafoglio di Npl ceduti a inizio anno).

Il prezzo che Generali dovrebbe aver pagato per queste obbligazioni, segnalano gli analisti, dovrebbe essere in linea con quello del portafoglio Fino1 a cui si riferiscono e dunque essere attorno al 14,5% del valore nominale. L’investimento complessivo del leone di Trieste dovrebbe dunque essere di poco inferiore ai 145 milioni di euro, con un impatto della transazione nel complesso marginale sul conto economico ma con la speranza di ottenere un buon rendimento (legato verosimilmente alla capacità di Onif di recuperare una percentuale di crediti superiore al 14,5% del nominale, ossia al costo pagato per tali asset).

In attesa della presentazione del nuovo piano industriale, che avverrà tra circa un anno attorno a fine novembre 2018 e che come ha sottolineato il presidente Gabriele Galateri di Genola in una lettera ai soci sarà focalizzato sul miglioramento della performance operativa e sulla creazione di valore nel lungo periodo, la transazione dimostra come ormai anche investitori istituzionali molto cauti come Generali guardino con interesse al mercato degli Npl per trovare occasioni d’investimento appetibili.

Del resto l’attuale scenario di tassi d’interesse ancora vicini ai  minimi storici viene giudicato dalla maggioranza degli analisti destinato a rimanere in essere ancora per molti mesi, nonostante una progressiva “normalizzazione” delle politiche monetarie da parte delle quattro maggiori banche centrali occidentali, con la Federal Reserve e la Bank of England che hanno già iniziato ad alzare i tassi, la Bank of Japan che ha ridotto il suo quantitative easing e la Bce che si appresta a dimezzare gli acquisti di bond sul mercato da gennaio, pur avendo prorogato fino a settembre il programma di allentamento quantitativo.

I primi ad aver puntato sugli Npl sono stati operatori specializzati come Fortress, Pimco, Cerberus piuttosto che Algebris, Atlante o Banca Ifis, che hanno approfittato dell’esigenza di gran parte delle banche italiane di accelerare la pulizia di bilancio anche attraverso cessione di portafogli di Npl di dimensioni più o meno cospicue. E’ stata poi la volta di Mediobanca (attraverso MBCredit Solutions) ed ora di Generali, in entrambi i casi con l’obiettivo di migliorare la propria redditività complessiva.

Quella stessa redditività che anche le banche debbono cercare di migliorare non solo attraverso il taglio dei costi, come finora fatto, e il ricorso ad aumenti di capitale per controbilanciare le perdite che emergono ogni volta che si procede a cedere a “valori di saldo” (ossia di mercato) asset deteriorati per pulire i bilanci in ossequio alle richieste della Bce, che molto ha aiutato le banche italiane in questi anni attraverso le varie “iniezioni” di liquidità Ltro, Tltro e lo stesso quantitative easing.

Per riuscirvi le banche dovranno, proprio come gli altri intermediari finanziari, modificare il proprio modello di business, cercare ciascuna di individuare una propria “specializzazione” e non essere tutte una il clone dell’altra. Alle fine di un percorso che potrebbe rivelarsi accidentato, potremmo ritrovarci con banche, assicurazioni e banche d’affari più moderne, efficienti e redditizie. Con quali costi per le prime e vantaggi per le seconde è ancora presto per poterlo dire.

 

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