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Economia
Big Tech e colossi del web: a picco oppure nuovo inizio?

L’ultima settimana di luglio è cominciata con i colossi del tech sotto pressione a Wall Street dopo essere finiti nel mirino del Dipartimento di Giustizia per possibili violazioni delle norme antitrust ed è finita con il Nasdaq e l’S&P 500 a nuovi record storici, proprio sulla spinta di buone trimestrali dei giganti del web, con l’eccezione di Amazon. Per l’indice principale di Wall Street, l’S&P 500, è stata anche la prima settimana della storia chiusa sopra quota 3.000, una vetta violata più volte durante il mese ma poi negata. È ovvio che a questo punto gli investitori si chiedano se FAANG & Co abbiano fatto abbastanza strada per il 2019, Microsoft ad esempio, anche se non fa parte del gruppo, da inizio anno ha messo a segno un rialzo che sfiora il 40%, oppure se sia solo l’inizio di una nuova era di crescita sostenuta dall’intelligenza artificiale, dalla robotica e da tutte le altre diavolerie della nuova rivoluzione digitale. Un indizio per cercare una risposta lo ha fornito proprio in chiusura di settimana la giapponese SoftBank, che ha annunciato il lancio del suo secondo fondo Vision con l’obiettivo di raccogliere oltre 100 miliardi di dollari da investire appunto in start up che cavalcano l’onda della nuova frontiera tech. Il primo Vision Fund lanciato da Softbank ha attratto investitori di standing globale, come il fondo sovrano saudita, e praticamente tutti i grandi nomi del tech americano, da Apple in giù, ed ha investito in storie che sono diventate di successo, come Uber e WeWork.

SCETTICISMO DELLA GRANDE STAMPA FINANZIARIA

L’annuncio fatto dal leggendario fondatore della casa giapponese Masayoshi Son è stato riportato sabato dalla grande stampa finanziaria globale non senza qualche nota di scetticismo. Il FT per esempio ha notato che il commitment al nuovo fondo firmato da nomi come Microsoft e Apple è accompagnato dalla dicitura ‘non vincolante’, mentre i nomi di altri sottoscrittori hanno provocato qualche alzata di sopracciglio, come quello della National Bank del Kazakistan, che ha in portafoglio asset per soli $107milioni. Più in generale ci si chiede se sia il momento giusto per fare una scommessa da oltre $100 miliardi su un settore che negli ultimi anni ha già dato moltissimo ed è affollato di Unicorni sulle cui valutazioni miliardarie pendono molti interrogativi. La domanda da 100 miliardi è: il sessantunenne Son è arrivato in ritardo e sta cercando di prendere un treno che non solo è già partito, ma è anche arrivato? Oppure ha capito che la rivoluzione tecnologica ha ancora nella penna un nuovo straordinario capitolo da scrivere? La storia personale di Son sembra indicare che la seconda è quella buona, ammesso che il passato sia un metro per capire cosa ha in serbo il futuro.

L’AFFARE COLOSSALE DI ALIBABA, COMPRATA PER 20 MILIONI

Son fonda la SoftBank a 24 anni, nel 1981, ai tempi dei fax e delle centraline telefoniche elettromeccaniche. Il punto di partenza è il commercio di componenti per computer ma presto entra nell’editoria con diversi magazine specializzati in elettronica, e sbarca in America con il testa il cappello di editore, mentre nel 1994 si quota per una valorizzazione di $3 miliardi, a quei tempi decisamente tanti. SoftBank diventa un nome noto a livello globale con l’esplosione di internet e mette a segno una serie di acquisizioni che ne fanno un protagonista della New Economy. Ma è proprio quando la grande euforia diventa una bolla che esplode, nel 2000, che Softbank mette a segno il colpo più spettacolare della sua storia, anche se al momento non se ne accorge nessuno. Mentre le dot.com crollano in tutto il mondo, Son va a comprarsi una sconosciuta startup internettiana cinese dal nome che evoca i 40 Ladroni delle Mille e Una Notte, Alibaba. L’investimento è di pochi spiccioli, $20 milioni. Quattordici anni dopo, quando la startup diventata colosso dell’e-commerce sbarca in Borsa con una mega-Ipo, i 20 milioncini diventano 40 miliardi, sempre di dollari. Un ritorno di 2.000 volte, o se vogliamo quasi il 20.000% in 14 anni!

LISTINI APPESI AL TECH CON L’ECCEZIONE DI OIL E ORO

Sul fatto che Masayoshi Son nella vita finora vissuta abbia avuto la vista lunga non ci sono dubbi. Con il passare degli anni l’occhio di falco si sarà un po’ appannato? Quello che sembra abbastanza certo è che in quel che resta del 2019 e anche negli anni successivi sarà il settore tecnologico a menare le danze, a Wall Street e sulle altre piazze mondiali. Gli altri comparti, dai beni di consumo alle banche fino ai colossi industriali dell’auto, dell’aeronautica etc, sembrano destinati ad andare al traino, nel bene e nel male. L’unico comparto dell’azionario americano e anche globale che potrebbe sfuggire a questa regola è quello dei grandi titoli energetici, oil & gas in particolare, e mettiamoci anche i minerari, anche qui oro in particolare. Qui le variabili in gioco sono completamente diverse, dalla geopolitica, con le tensioni nel Golfo che se diventano esplosive potrebbero far schizzare il prezzo del greggio, fino a un ritorno a sorpresa dell’inflazione, che oggi nessuno prevede. E sono due cose che, almeno nella storia passata, spesso sono andate a braccetto.

BOTTOM LINE

La prossima primavera è il ventesimo compleanno dello sgonfiamento della grande bolla di Internet. Ma potrebbe essere un errore pensare che stiamo entrando in una rimessa in scena dell’anno 2000. Magari invece l’anno in cui entriamo tra 5 mesi è un altro 1994, quello della Ipo di SoftBank.

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