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Economia
Blutec, in manette i vertici. Il calvario dell'ex Fiat di Termini Imerese

Cala il sipario sul rilancio dell'ex polo Fiat di Termini Imerese. Proprio ieri l'ennesima protesta sotto il municipio da parte dei 200 operai della Blutec e dell'indotto a sostegno dei 62 lavoratori interinali che, da mesi, si trovano senza alcun ammortizzatore sociale. Scattano gli arresti domiciliari per Roberto Ginatta e Cosimo Di Cursi, rispettivamente il presidente del consiglio di amministrazione e l'amministratore delegato della Blutec, la società controllata dal gruppo piemontese Metec specializzato in componentistica auto che nel dicembre 2014 ha rilevato lo stabilimento ex Fiat e che la stessa casa automobilistica controllata dalla famiglia Agnelli aveva portato al tavolo in extremis con le istituzioni come cavaliere bianco.

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La magistratura aveva messo l'azienda nel mirino ad ottobre dello scorso anno. Sono in corso di esecuzione un decreto di sequestro dell'intero complesso aziendale destinato alla realizzazione di auto ibride ed elettriche e di beni per oltre 16,5 milioni di euro. Il blitz è scattato nell'ambito di un'attività investigativa coordinata dalla procura della Repubblica di Termini Imerese.

All'interno dell'operazione Blue Hole, i finanzieri del Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Palermo hanno eseguito l'ordinanza emessa dal gip Termitano per il reato di malversazione a danno dello Stato. Al centro del caso Blutec emerso nei mesi scorsi anche la restituzione di 20 milioni a Invitalia (360 i milioni complessivi destinati al rilancio del polo industriale dall'accordo di programma).

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Stabilita una misura interdittiva concernente il divieto per la durata di 12 mesi di esercitare imprese e uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese. Contestualmente, è stato emesso un decreto di sequestro preventivo dell'intero complesso aziendale e delle relative quote sociali della Blutec, nonchè delle disponibilità. Il presidente e l'amministratore delegato della Blutec devono rispondere della sparizione di gran parte della somma, tra i 20 e 21 milioni che lo Stato attraverso Invitalia aveva affidato all'azienda per favorire il rilancio del sito di Termini Imerese. Da qui il sequestro di oltre 16,5 milioni, con i sigilli apposti all'intera società con sede in provincia di Torino, a Rivoli. Risale allo scorso 5 marzo l'ultimo incontro al ministero dello Sviluppo economico che doveva provare a togliere dalle nebbie sul futuro dell'ex Fiat e un nuovo incontro era stato fissato per il 9 aprile.

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Sul tavolo i vertici dell'azienda avevano messo un presunto interessamento di due imprese cinesi. Anche questa un'altra mossa per prendere tempo? E' un fatto che un punto cruciale della vertenza sia legato proprio alla mancata attuazione del piano industriale sottoscritto al Ministero e sul quale Invitalia ha investito 20 milioni e che ha generato la richiesta della società pubblica di rientro da parte di Blutec del finanziamento. Richiesta disattesa. Passi contraddittori quelli dell'impresa. A novembre aveva presentato l'ennesimo progetto di rilancio del polo industriale palermitano che prevedeva l'occupazione di 694 lavoratori entro il 2020, con un cronoprogramma che avrebbe dovuto garantire dicembre 2018 l'ingresso di 115 lavoratori, a settembre 2019 di altri 100 e a dicembre 2019 di ulteriori 344.

Questi obiettivi sarebbero stati garantiti dalla eventuale conferma di tre iniziative industriali: elettrificazione del Doblò e del Ducato, assemblaggio delle batterie Samsung. L'azienda aveva sostenuto che stava procedendo a fornire tutte le documentazioni alla Guardia di finanza relativamente al vecchio contratto di sviluppo e di avere realizzato una nuova proposta da sottoporre a Invitalia per realizzare il piano industriale. Solo fumo. Infine, il 5 marzo l'azienda aveva presentato gli aggiornamenti nel suo piano industriale che con le commesse del Doblò, dei cicli elettrici di cui sono già in produzione i prototipi, la commessa Garage Italia, la Xev e la Jiayuang ed un affidamento con Fca per la produzione delle batterie per il Ducato dovrebbe riassorbire interamente la forza lavoro attualmente fuori dalle attività produttive entro la fine del 2019. Un piano, hanno detto i sindacati, basato su gare e affidamenti non ancora concretizzati per circa la sua metà.

E su un gentleman agreement con Fca di cui non si ha riscontro. In più è parte integrante del piano la soluzione della cessione del settore metalli alla Magneto, piano che, dovendo essere definito già lo scorso febbraio, resta ancora incompiuto. Era stato chiesto a che punto fosse la restituzione, frutto dei precedenti impegni in sede ministeriale, del primo prestito di Invitalia senza il cui saldo, non si potrà dare forza al secondo piano di sviluppo che coinvolge la società a sostegno del progetto Blutec. La Finanza è arrivata prima. Un calvario quello dell'ex stabilimento Fiat di Termini Imerese, fabbrica che Marchionne bollò nel 2009 come troppo dispendiosa perché "costruire le auto lì costava 1.000 euro in più" e che Torino chiuse nel 2011 aprendo le procedure per la vendita.

I primi a promettere investimenti furono Simone Cimino e gli indiani della Reva con la loro auto elettrica. Poi arrivò l’imprenditore piemontese Gian Mario Rossignolo per la realizzazione di un mini Suv. Seguirono i cinesi della Chery e Massimo Di Risio della Dr Motors che puntavano su mega Suv. Ancora i cinesi della Brilliance China Automotive, controllata dallo Stato cinese e che vanta una joint venture con Bmw, poi Corrado Ciccolella, il re dei fiori che voleva trasformare la fabbrica in una serra fiorita, poi i manager di Radiomarelli, società che realizzavano protesi come la Lima Corporate, imprenditori cinematografici e televisivi della Medstudio ed ancora Grifa (Gruppo Italia Fabbrica Automobili) che si era detta pronta a rilevare la struttura e sfilatasi in Zona Cesarini nella trattativa. Poi il jolly della Blutec tirato fuori dalla stessa Fca. Più che un jolly, un due di picche.

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