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Economia
Confindustria: nessuna sfiducia al governo ma riaffermazione del suo ruolo culturale

Quella di Vincenzo Boccia al Corriere della Sera è stata un’intervista che riafferma anche nel 2019 il ruolo culturale di Confindustria. 

Non è un manifesto politico né una sfiducia al governo, come forse troppo frettolosamente si affannano a scrivere stimatissimi analisti de Il Giornale, non è una sponda agli uni o agli altri e neanche lo strumento per riportare l’autonomia delle Organizzazioni Sociali sotto l’alveo di questa o quell’altra forza politica.

E’ un’intervista con cui Vincenzo Boccia consolida tre operazioni. La prima, tiene le principali forze produttive economiche e sociali del Paese nello spazio istituzionale proposto dal Governo attraverso i tavoli di confronto avviati dopo Torino, dentro le raccomandazioni espresse dal Quirinale. “Ora che la manovra è approvata, abbiamo scongiurato la procedura d’infrazione e l’esercizio provvisorio - dice il Presidente della Repubblica Mattarella nel discorso di fine anno - possiamo concentrarci nel verificare i singoli provvedimenti di essa”

Al di là della manovra - dice in sostanza Confindustria nell’intervista al Corriere della Sera - poiché diversi provvedimenti non partiranno nell’immediato, vi è lo spazio di un confronto sul tema della crescita e del ruolo di chi il lavoro lo deve creare. Perché il punto su cui il governo dovrebbe riflettere è uno in particolare: non è condizione sufficiente garantire un reddito di formazione a chi è disoccupato; di per sé accrescere le nozioni o le competenze delle persone non produce automaticamente reinserimento lavorativo se non vi è parimenti un confronto serrato con le imprese verso quali settori orientare quella formazione e soprattuto attraverso quale patto sociale tra pubblico e privato si possa favorire l’insieme degli investimenti volti appunto a creare occupazione per coloro che abbiamo formato.

Se il governo non porta fino in fondo il ragionamento su cui si muove, rimane monco negli effetti che pure teoricamente intende realizzare. E anche il gruppo di lavoro sullo sviluppo digitale dell’Italia corre il rischio di assumere i caratteri di un’esercizio intellettuale meraviglioso che si scontra all’atto pratico con la contrazione degli investimenti destinati allo sviluppo.

E’ una discussione che paradossalmente sui social si articola in maniera più consapevole che tra gli addetti ai lavori e questo ci porta all’altra operazione fondamentale che il Presidente di Confindustria conduce: riallacciare il filo del discorso tra la società italiana e l’insieme dei gruppi dirigenti del Paese. E’ uno sforzo che non va banalizzato, ma al contrario va sostenuto e rafforzato perché è un lavoro profondo, che sul piano pratico, fuori da qualsiasi scontro ideologico, realizza il bisogno di comunità di un Paese che dovrà affrontare mesi difficili.

Così sui social è possibile che pure i sostenitori Cinque Stelle ammettano che le infrastrutture pubbliche debbano essere finanziate dal pubblico; che con un debito così elevato come quello italiano la finanza di progetto e il partenariato col privato attraverso i bandi di gara possano essere una soluzione; che tuttavia occorre rendere pubblico alla cittadinanza l’equilibrio che si crea tra l’apporto professionale che il privato fornisce alla pubblica amministrazione sui modelli di partenariato e le attese di ricavo che l’aggiudicatario ottiene in base a specifici risultati di efficienza poiché venga sconfitta la percezione di un privato esclusivamente assistito dal pubblico.

O ancora è possibile che essi accettino un dibattito sulla funzione delle infrastrutture e dunque si raggiunga una comune visione sulle caratteristiche che deve assumere lo sviluppo economico dell’Italia: velocizzare gli scambi commerciali per le imprese ad est come nel Mediterraneo, sviluppare la rete dei servizi e dell’attrattività turistica affinché il potenziale di crescita del turismo internazionale registrato dal recentissimo rapporto di Banca d’Italia possa ulteriormente incrementarsi, rigenerare le aree urbane degradate  e quelle interne disabitate riattivandole a funzioni d’uso economiche sociali e culturali garantendo con tutto questo posti di lavoro. Fra l’altro corre l’obbligo di ricordare ai penta stellati che una buona parte dei 600.000 posti di lavoro persi in questi anni nell’edilizia per le infrastrutture e la rigenerazione delle città sono di cittadini stranieri regolari che non si sono visti riconfermare il permesso di soggiorno poiché senza lavoro e senza le protezioni garantite da mobilità, ammortizzatori e cassa edile. La stessa ammissione di Salvini di non riuscire a rimpatriare gli oltre 500.000 stranieri irregolari dovrebbe ulteriormente far riflettere sulle buone ragioni che coniugano lo sviluppo delle infrastrutture e delle riqualificazioni urbane con il tema della sicurezza e della coesione sociale.

C’è infine il campo specifico di rappresentanza di Confindustria che mira sempre più ad offrire un ventaglio di strumenti capaci di sostenere l’innovazione di intere filiere produttive e di incoraggiare l’intraprendenza di piccole e medie imprese verso nuovi mercati. Il prossimo 7 e 8 Febbraio a Milano con Connext, il grande evento sul partenariato industriale, questo lavoro specifico per rafforzare le imprese italiane, e dunque il Paese, sarà ancora più evidente, ma certo sarebbe utile sviluppare ancora di più la comunicazione su tutti gli altri progetti sperimentali come la Confindustria del Mare o quelli di sviluppo locale per attrarre investimenti esteri perché appaia chiaro che l’obiettivo di fondo è quello di ampliare la base di rappresentanza di Confindustria poiché questi strumenti sono rivolti a tutte le energie imprenditoriali che intendano essere protagoniste del proprio sviluppo.

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