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Economia

Borse europee deboli in avvio, in attesa del discorso del numero uno della Fed Janet Yellen al simposio dei banchieri centrali di Jackson Hole. L'indice Ftse 100 della borsa di Londra e' stabile a -0,01%, l'indice Dax della borsa di Francoforte cede lo 0,17% 10.512,21 punti, l'indice Cac di Parigi arretra dello 0,16% a 4.399,46 punti. In controtendenza Milano, che sale dello 0,19%.

Ha preso ufficialmente il via ieri sera il simposio di Jackson Hole, la suggestiva localita' montana nel Wyoming sovente utilizzata dai presidenti delle banche centrali per anticipare le loro decisioni di politica monetaria o difenderle dalle critiche. Fu da questo palcoscenico (tanto amato dal predecessore Paul Volcker, appassionato di pesca con la mosca) che l'ex numero uno della Federal Reserve, Ben Bernanke, sottolineo', nel 2010 e nel 2012, la necessita' di un'ulteriore estensione del colossale programma di acquisto di titoli che risollevo' gli Usa dal disastro di Lehman Brother. E fu a Jackson Hole, nel 2014, che il presidente della Bce, Mario Draghi, lancio' l'allarme occupazione nell'Eurozona e critico' le politiche di austerita' ad ogni costo, per preparare il terreno al successivo lancio del 'quantitative easing' e vincere una volta per tutte le resistenze tedesche.

Anche questa volta, come nel 2015, Draghi non ci sara'. Al suo posto parlera' sabato il consigliere esecutivo Benoit Coeure, il francese divenuto di fatto il "ministro degli Esteri" dell'Eurotower, la quale l'8 settembre riunira' il direttivo per valutare l'impatto della 'Brexit' e l'opportunita' di ricalibrare, di conseguenza, la propria politica monetaria. In pochi, pero', si aspettano nuove misure. A dare grattacapi alla Bce piu' che Londra e' Berlino, il cui modello bancario continua a scricchiolare sotto il peso dei tassi negativi, che minano la redditivita' delle 'Landesbank' e rischiano di innescare una bolla immobiliare, con i risparmiatori teutonici, abituati a incassare rendimenti molto interessanti dai loro conti correnti, in cerca di investimenti piu' remunerativi.

Appena tre giorni fa l'ad di Deutsche Bank, John Cryan, ha lanciato un durissimo attacco contro Francoforte, le cui misure, ha detto, andrebbero ormai "a discapito degli obiettivi di rendere l'economia piu' forte e il sistema bancario piu' sicuro", comprimendo i margini e distorcendo i prezzi delle attivita'.
  

Se a Francoforte si continuano ad allentare i cordoni, a Washington non e' semplice restringerli, a fronte di un mercato ormai drogato di liquidita' a costo zero. Di contro, una stretta in Usa causerebbe un movimento di capitali dalla sponda destra a quella sinistra dell'Atlantico, la famosa 'search for yield', la ricerca del rendimento piu' redditizio in una fase dove il tasso dei Bund decennali arranca sotto lo zero. E non finiscono certo qua i dilemmi per la presidente della banca centrale Usa, Janet Yellen, il cui intervento, previsto oggi, ha un titolo ben poco eccitante: "The Federal Reserve's Monetary Policy Toolkit".

Gli addetti ai lavori ne soppeseranno comunque ogni singola parola, per capire se entro la fine dell'anno verra' effettuato almeno un rialzo dei quattro messi in programma lo scorso dicembre, quando la Fed sanci' la fine dell'era dei tassi zero con un ritocco di un quarto di punto rimasto finora isolato. Il tracollo delle borse cinesi, il tonfo del prezzo del petrolio e lo spettro della Brexit che agitarono i primi mesi del 2016 finanziario spinsero comprensibilmente Yellen a usare prudenza. Ora, con un barile stabilizzatosi poco sotto i 50 dollari e un divorzio di Londra da Bruxelles che non ha causato chissa' quali catastrofi, sarebbe il caso di lasciare che i mercati si 'disintossichino' per tornare a guardare ai fondamentali dell'economia americano, oggi piuttosto robusti, a partire dal mercato del lavoro.

Questa, pero', e' un'opinione tutt'altro che unanime all'interno del Fomc, il comitato di politica monetaria della Fed. Tra 'falchi' e 'colombe' sembra pero' prevalere un approccio cauto, quello mostrato di recente da pezzi da novanta come il presidente della Fed di San Francisco, John Williams, e il suo collega newyorchese, William Dudley, apparsi entrambi favorevoli ad un rialzo a dicembre, o magari a settembre. "Prevedo che Yellen manterra' l'opzione di muoversi a settembre senza dare nessun segnale chiaro che siano pronti a farlo", e' l'opinione di Michael Woodford, economista della Columbia University. Il problema vero, peraltro, non e' nemmeno la necessita' di drenare la liquidita' in eccesso, operazione tecnicamente complessa alla luce del funzionamento della Fed, bensi' il rischio che un biglietto verde rafforzato freni la ripresa statunitense, stimolata negli anni scorsi dal dollaro debole che trainava le esportazioni. Allo stesso modo, negli ultimi semestri l'export di Germania, Francia e Italia e' migliorato grazie a un euro indebolito dal 'quantitative easing'. Cosi' come uno degli effetti piu' evidenti della 'Brexit' e' stata la corsa all'acquisto delle azioni degli esportatori britannici, trainati dal deprezzamento della sterlina. Lo sa benissimo la Banca d'Inghilterra (rappresentata a Jackson Hole dal vice governatore Nemat Shafik, che parlera' venerdi', prima della Yellen), che venti giorni fa ha abbattuto il costo del denaro allo 0,25%. Perche' in una fase di crisi della domanda e di contrazione del commercio internazionale, la partita vera e' anche sulle quote di esportazione. Ed e' forse questo il principale nodo che Janet Yellen deve sciogliere.

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