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Economia
Brexit, opportunità e minaccia per le imprese del "Made in Italy"

Pre-accordo raggiunto tra Gran Bretagna e Unione europea per scongiurare una "hard Brexit" legata all'eventuale uscita del Regno Unito dalla Ue senza alcun accordo, anche se resta elevata l'incertezza in merito alla ratifica finale dell'accordo da parte del parlamento britannico, senza la quale tutto tornerebbe in alto mare e non sarebbero escluse elezioni anticipate in Gran Bretagna e forse anche un nuovo referendum popolare sulla Brexit stessa per quanto al  momento Theresa May lo escluda decisamente.

Ma quanto la Brexit rappresenta un rischio e quanto un'opportunità per le imprese italiane? L'interscambio commerciale tra i due paesi nel 2017 è stato pari a 34,5 miliardi di euro, in crescita del 2,4% rispetto ai 33,7 miliardi del 2016, con esportazioni italiane verso il Regno Unito per 23,1 miliardi (+3,2%) e importazioni dalla Gran Bretagna per 11,4 miliardi (+1,3%).

Con Londra dentro la Ue, insomma, l'Italia ha un avanzo commerciale più che robusto (quasi un miliardo di euro ogni mese), grazie in particolare ai saldi segnati dal settore macchinari (1,86 miliardi lo scorso anno), medicinali e farmaci (0,2 miliardi),  ma anche all'ottimo andamento dell'abbigliamento (1,2 miliardi di export), bevande (1 miliardo di export), componenti per auto (0,9 miliardi), mobili (0,9 miliardi) e calzature (0,6 miliardi), mentre il settore autoveicoli nonostante 1,6 miliardi di export ha registrato un deficit commerciale di circa 300 milioni.

Nel complesso il Regno Unito a fine 2017 era il quinto partner commerciale dell'Italia (dietro Germania, Usa e Spagna) e in Gran Bretagna vivevano oltre 700 mila italiani. La Brexit potrà dunque rappresentare un grande rischio o una grande opportunità per l'Italia e le sue imprese, soprattutto per chi come Leonardo (proprietario di Westland) è fortemente esposto al mercato inglese essendo è il maggiore investitore del settore della Difesa del Regno Unito, oltre ad essere il principale investitore italiano in Gran Bretagna. e uno dei maggiori fornitori di attrezzature militari nel Regno Unito, paese in cui operano circa 6.800 degli oltre 45.000 dipendenti che il gruppo ha in tutto il mondo.

Fiat Chrysler Automobiles già lo scorso anno ha registrato cali di vendita per tutti i suoi marchi principali (ad eccezione di Alfa Romeo, salita del 2,4% ma con meno di 5 mila vetture vendute) pur vedendo Abarth (+12% con 4.441 vetture) e Maserati (+18,5% a 1.701 vetture) registrare risultati incoraggianti. Da inizio anno la musica è cambiata in peggio: Fiat nei primi 10 mesi ha immatricolato solo 31.145 vetture (-23,9% annuo), Alfa Romeo ha interrotto il suo recupero con appena 3.654 vetture vendute (-15,1%), Jeep ha proseguito il calo con 5.275 vetture (-8,6%) e Maserati pure ha piegato la testa con 1.125 vetture (il 22,5% in meno di un anno prima). Ad andar bene è così rimasta solo Abarth, che ha venduto finora 4.842 vetture (+27,3%).

Un altro settore particolarmente esposto alla Gran Bretagna è quello alimentare, in particolare per quanto riguarda vini, formaggi e salumi. Tra i produttori italiani, la bolognese Granarolo (cui fa capo anche il marchio Yomo) è ad esempio presente sin dal 2014 con una controllata, Granarolo UK, che a inizio anno ha anche acquisito il 100% di Midland Food Group (64 milioni di sterline di fatturato annuo), ponendosi l'obiettivo di raggiungere i 100 milioni di euro di fatturato entro la fine dell'anno sul mercato inglese, che è così destinato a diventare il terzo per fatturato dopo l'Italia e la Francia.

Il gruppo Lunelli (100 milioni di fatturato di cui 20 derivanti da esportazioni e 13,7 milioni di utile lo scorso anno) è a sua volta particolarmente interessato al mercato britannico (oltre che a quello statunitense), dove le vendite del vino da qualche anno ristagnano ma quelle degli spumanti continuano a crescere. Il Regno Unito, in particolare, è il principale mercato di esportazione di Bisol (storica cantina del Prosecco superiore Docg acquisita nel 2014) con un valore di produzione pari a oltre 2,5 milioni.

Da non sottovalutare poi che oltre alle opportunità o minacce che la Brexit porrà riguardo possibili ripercussioni sull'interscambio diretto e su quello intra-Ue, occorrerà valutare attentamente le mosse delle aziende inglesi che una volta uscite dal mercato unico e dall'unione doganale europea potrebbero essere tentate dall'intensificare le relazioni con la Cina e col Medio Oriente (in campo enogastronomico eventualmente disattendendo un rigoroso rispetto della normativa comunitaria in materia di produzioni di origine controllata).

In questa eventualità anche gruppi del "made in Italy" tradizionalmente presenti nelle due aree, come i grandi marchi del lusso-abbigliamento, da Ferragamo a Prada, da Ferrari a Luxottica, ma sempre più anche della ristorazione o delle attrezzature come Clabo, potrebbero veder crescere la concorrenza ai danni dei loro prodotti e servizi. Con o senza accordo, insomma, la Brexit è destinata a impattare sui conti di molte aziende tricolori, con quali esiti finali è ancora presto per poterlo dire.

 

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