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Economia
Caltagirone si muove in Generali: supera il 4% e punta al 5%-7%

Francesco Gaetano Caltagirone riprende la sua salita in Generali: approfittando della recente debolezza del titolo assicurativo dovuta all’impennata dello spread Btp-Bund l’imprenditore romano, tramite la holding Fincal, ha acquistato altri quattro pacchetti di azioni tra il 4 e il 5 ottobre scorso portando al 4,2% la sua quota e rinsaldando così il ruolo di secondo maggiore socio alle spalle di Mediobanca (socia al 13,04% del capitale, un 3% sarà però ceduto entro giugno 2019) e davanti a Leonardo Del Vecchio (che tramite Delfin detiene il 3,16%), ai Benetton (con Edizione titolare del 3,04%) e ai Boroli-Drago (la De Agostini possiede l’1,5% del Leone).

 

Nel dettaglio Caltagirone il 4 ottobre ha comprato 900.000 azioni al prezzo medio pari a 14,866 euro per azione, il giorno successivo ha acquisito altri 1,14 milioni di titoli ad un prezzo medio di 14,8236 euro, più altri 12.768 al prezzo medio di 14,865 euro e infine ulteriori 22.517 azioni al prezzo medio di 14,788 euro, per un investimento totale di 30,7 milioni. Da notare che già nei giorni precedenti Caltagirone aveva rilevato prima 700.000 mila titoli poi altri 250.000 titoli. L’intenzione del vice presidente vicario di Generali sarebbe secondo voci che circolano già a giorni a Piazza Affari quella di salire fino al 5% o forse anche al 7% del Leone. Perché?

 

Oltre ad approfittare di prezzi interessanti (ai 14,425 euro attorno a cui oscilla stamane il titolo resta in calo di un 7,5% circa rispetto a 12 mesi fa e rende oltre il 5,5% in termini di dividendo, rimanendo ben oltre i rendimenti dei titoli di stato) Caltagirone potrebbe essere interessato, in vista del rinnovo del Cda della compagnia nell’aprile 2019 (quando il presidente Gabriele Galateri di Genola avrà 72 anni e dovrebbe dunque passare la mano), a promuovere una cordata che raggruppi proprio Del Vecchio, i Benetton e i Boroli-Drago per arrivare ad una quota tra il 10% e il 13%, equivalente come peso a quella di Mediobanca.

 

Piazzetta Cuccia è stata finora azionista di riferimento del gruppo assicurativo ma è alle prese con un delicato passaggio legato all’uscita dal patto di Vincent Bolloré (e dei Pesenti), fatto che ha decretato la fine del patto di sindacato e che potrebbe portare o alla nascita di un patto “leggero” o alla trasformazione de facto di Mediobanca in una public company. Ipotesi quest’ultima che continua a creare una certa inquietudine, per la possibilità che eventuali gruppi esteri approfittino della situazione per prendere il controllo e, a cascata, mettere le mani anche sulla partecipazione in Generali, ultimo vero “sancta sanctorum” della finanza tricolore.

 

Ultimo ma non trascurabile dettaglio: ancora prima di pensare al rinnovo del Cda di Generali e alla riconferma dell’attuale amministratore delegato, Philippe Donnet (che ha saputo accelerare il taglio dei costi e le cessioni di asset non strategici mantenendo più che pingui i dividendi per i soci), il prossimo 21 novembre sarà ufficialmente presentato il nuovo piano strategico del gruppo assicurativo. Un piano che Caltagirone, in questo secondo voci di mercato spalleggiato dagli altri soci italiani, vorrebbe anche più “coraggioso” di quanto già non si preveda. Giusto ieri gli analisti di Mediobanca hanno detto la loro su come Donnet ripartirà le risorse tra l’abbassamento del debito, il mantenimento dei generosi dividendi ai soci e operazioni di crescita per linee esterne.

 

Secondo gli esperti 1 miliardo dei 2,5 miliardi incassati tramite la cessione di asset non strategici verrebbe usata per rimborsare una parte dei bond subordinati in scadenza tra il 2019 e il 2020, migliorando la flessibilità finanziaria del gruppo. Resterebbero 1,5 miliardi di euro per acquisizioni, una cifra consistente ma forse non sufficiente a far salire di taglia il gruppo abbastanza da metterlo al riparo da attenzioni non gradite come furono quelle di Intesa Sanpaolo lo scorso anno. Caltagirone preferirebbe quindi che venisse messo in cantiere un aumento di capitale, aumento che già agli inizi del 2017 era sembrato poter essere varato (pare su richiesta degli stessi agenti italiani, francesi e tedeschi del gruppo) ma poi restò nel cassetto.

 

Ma quali potrebbero essere le prede per cui varrebbe la pena aumentare il capitale? Di recente si è parlato di un interesse, mai confermato ma neppure smentito, per l’assicuratore russo Ingosstrakh di cui Generali è già socio al 38,45%. Ingosstrak fa capo, direttamente e indirettamente, all’oligarca Oleg Deripaska (molto vicino a Vladimir Putin e per questo nella “lista nera” dei 210 oligarchi colpiti dalle sanzioni volute da Trump la scorsa primavera). Ingosstrakh viene valutata attorno al miliardo, dunque per rilevarne il controllo potrebbero bastare 150-200 milioni; altrettanto dovrebbe valere la quota di maggioranza di Sycomore, l’asset manager francese con cui il gruppo triestino ha avviato trattative a inizio settembre.

 

Potrebbero essere due belle operazioni, ma in entrambi i casi due “pesci piccoli” che non comporteranno la necessità di aumenti di capitale. Se a Caltagirone e agli altri soci italiani non dovessero bastare, Donnet dovrà mirare più in alto, magari in Germania, anche se fare grandi acquisizioni si sta rivelando sempre più difficile, se non altro per la presenza di numerosi concorrenti: Axa, Allianz, Zurich sono già tutte scese in pista, anche se per ora si è mosso poco o nulla salvo qualche operazione sulle più interessanti startup insurtech e fintech, mentre Covea sta trovando non poche resistenze nel suo tentativo di conquistare Scor (il quinto maggior riassicuratore al mondo). Riuscirà Donnet a trovare un obiettivo in grado di soddisfare tutti i suoi azionisti? Entro il 21 novembre avremo la risposta.

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