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Economia
Cambridge Analytica, spuntano nuove accuse a Facebook

Cher, la star Usa, ha annunciato su Twitter di aver chiuso a malincuore il suo account di Facebook. Lo stesso ha fatto Brian Acton, fondatore di Whatapp: “Era ora”, ha detto, rilanciando l’hashtag #deletefacebook che ormai dilaga sul web. L’abbandono in massa del social network è una delle conseguenze – ma non certo la sola - dello scandalo Cambridge Analytica e della reazione non del tutto convincente di Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook, che in un post e poi in una serie di insolite interviste ha fatto mea culpa e promesso maggiori controlli sulla privacy.

Basandosi su dati personali di 50 milioni di utenti sottratti a Facebook e sotto la regia di Steve Bannon, punto di riferimento della destra sovranista, la Cambridge Analytica, che è una società inglese di consulenza politica ha dato un contribuito importante alla campagna elettorale di Donald Trump. E lo stesso presidente, ieri, ha fatto un riferimento indiretto alla vicenda, vantandosi del ruolo del web nella sua vittoria a sorpresa. “Ricordate – ha twittato - quando dicevano che non spendevo sui social network quanto Hillary e che la mia presenza non era altrettanto sofisticata? Beh, adesso nessuno lo dice più”. In compenso Facebook è nella bufera. E ora, il procuratore speciale del Russiagate, Robert Mueller, sta indagando sui legami tra la campagna di Donald Trump e la società Cambridge Analytica. Secondo i media americani, sarebbero già stati sentiti alcuni ex manager della campagna del tycoon per capire l'uso che hanno fatto di quei dati.

Anche ieri le quotazioni del colosso di Menlo Park sono scese, dopo aver perso quasi 40 miliardi di dollari di valore: Wall Street ha paura che lo scandalo finisca per incidere sul business model di Facebook e comunque a far lievitare i costi. Zuckerberg ha promesso una indagine a tappeto, norme più severe per proteggere i dati degli utenti, misure specifiche per proteggere le elezioni americane di midterm da interferenze russe e di informare tutti coloro che le cui informazioni personali sono finite in mano a Cambridge Analytica. Un compito non facile (e non economico), che – secondo gli esperti – non porterà neanche a una protezione completa della privacy, che è difficile, forse impossibile, in una comunità di 2 miliardi di persone.

Vi sono poi le inchieste giudiziarie aperte da un lato e dall’altro dell’Atlantico, oltre ai tentativi delle forze politiche di avviare una regolamentazione dei social network. Zuckerberg è scettico, ma non pregiudizialmente contrario: ipotizza, ad esempio, che si potrebbe richiedere ai giganti del web una maggiore trasparenza nei contratti pubblicitari, così come avviene negli altri media. Nel frattempo, il Guardian ha scritto che Alexander Kogan, il ricercatore che avrebbe passato i dati alla Cambridge avrebbe ricevuto dalla stessa Facebook dati aggregati su ben 57 miliardi di combinazioni di "amicizie" intrecciate sulla piattaforma di Mark Zuckerberg. Il Congresso americano ha già stretto la vite, approvando una legge contro i traffici sessuali che di fatto responsabilizza i social network sui contenuti dei messaggi postati sul web.

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