Economia
Cdp e AgCom: al via lo spoil system. Stop alla stagione delle privatizzazioni
Entro giugno i vertici di Cdp andranno rinnovati, poi dal 2019 toccherà ad altre aziende a partecipazione statale. In soffitta le privatizzazioni
Di Luca Spoldi
e Andrea Deugeni
Le elezioni politiche 2018 in Italia hanno per ora due sicuri perdenti, che rispondono ai nomi di Silvio Berlusconi e Matteo Renzi. Ma nei mesi a venire potrebbero innescare una serie di cadute e avvicendamenti a catena tra i manager di enti e società pubbliche, anche se nessuno prevede un “terremoto” stile spoil system americano, dato che Cassa Depositi e Prestiti, controllato dal ministero dell’Economia e finanze al 82,77%, è l’unica tra le società partecipate dal Tesoro a vedere il proprio vertice in scadenza entro l’anno. C'è anche da indicare il nuovo presidente dell'AgCom, visto che Marcello Cardani (nella foto in basso a destra designato dal governo Monti, è in scadenza di mandato (2019) e la nomina, considerando che i dossier Mediaset e Telecom sono ancora aperti, è particolarmente cara a Berlusconi, azionista junior della coalziione di Centrodestra che potrebbe ricevere l'incarico di governo dal Quirinale.

In Cdp l’attuale coppia di comando, guidato dal presidente Claudio Costamagna (ex banchiere d’affari di Goldman Sachs, oltre che ex presidente di Salini Impregilo) e dall’amministratore delegato Fabio Gallia, era stato nominato dal governo Renzi nel giugno del 2015, al posto dell’ex presidente Franco Bassanini fino a quel momento sostenuto dalle fondazioni bancarie (che controllano il restante 17,23% di Cdp) e dell’amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini (a sua volta ex banchiere d’affari di Jp Morgan, poi passato al gruppo Intesa Sanpaolo e da qui a Mittel), passato l’anno successivo a presiedere la Fondazione Fiera di Milano.
Cdp a sua volta è cruciale per partite delicate come l’Ilva di Taranto (si discute da alcuni mesi di un eventuale coinvolgimento del gruppo nella cordata Am InvestCo Italy accanto ad ArcelorMittal sia pure per un investimento “leggero” che non dovrebbe superare i 100 milioni in cambio del 5,6% del capitale della cordata), Alitalia (anche in questo caso non è escluso l’acquisto di una quota di minoranza) e persino Magneti Marelli (che la controllante Fiat Chrysler Automobiles potrebbe vendere in blocco a Cdp anziché scorporare e quotare in borsa nel corso del secondo trimestre dell’anno).
Altro capitolo “delicato”, quello delle privatizzazioni. Non è un mistero che l’ipotesi di collocare una seconda quote di Poste Italiane sul mercato, ma anche procedere con le privatizzazioni della Rai o di Ferrovie dello Stato sia invisa tanto alla Lega quanto a M5S. Così un'eventuale grande coalizione legista-pentastellata potrebbe decidere di mandare in soffitta la stagione delle privatizzazioni, regalando a “tecnici” amici e politici che non sono riusciti a conquistarsi una poltrona in Parlamento qualche comodo ripiego nei Cda di numerose aziende.
Il tutto nonostante la prospettiva di fare cassa per 10-12 miliardi di euro anche solo con la seconda tranche di Poste Italiane e col collocamento sul mercato dell’Alta Velocità di Trenitalia e nonostante una presenza già bulimica dello stato nell’economia (oltre il 50% del Pil italiano fa riferimento alla pubblica amministrazione o ad aziende a partecipazione statale), ulteriormente rafforzata dall’intervento in crisi come quella di Mps e Alitalia.