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Economia
Creval-Carige-Astaldi: la diluizione è servita. Risparmiatori a bocca asciutta

Che i mercati azionari siano un poco affaticati dopo i ripetuti rialzi è evidente, che Piazza Affari sconti ancora la debolezza di un sistema che continua a soffrire di un gap di produttività e redditività rispetto a quello di altri paesi comparabili come Spagna, Francia o Germania è altrettanto chiaro. Nonostante gli analisti continuino a predire un possibile ulteriore prolungamento del mercato “toro” e nuovi guadagni per gli indici generali, infatti, a Piazza Affari il 40% di rialzo segnato nei primi dieci mesi dell’anno è già un ricordo in particolare per alcuni titoli che hanno deluso le attese vuoi in termini di risultati (Leonardo), vuoi per aver dovuto chiedere soldi in quantità superiore alle previsioni.

crevalCredito Valtellinese
 

Quest’ultimo caso è particolarmente pernicioso in termini di volatilità e performance dei titoli: il Credito Valtellinese martedì 7 novembre nel varare il nuovo piano industriale 2018-2020 ha segnalato di voler “accelerare le azioni di de-risking” per lasciarsi alle spalle l’eredità del passato (ossia una fetta consistente di sofferenze e crediti deteriorati) e “precostituire le condizioni per il ritorno ad una redditività organica sostenibile nel medio termine” e con un profilo di rischio che “riposizioni la banca tra le “best in class” in Italia”. Tutto molto bello, con un piccolo particolare che al mercato non è andato giù: l’aumento di capitale è stato ipotizzato sino a un massimo di 700 euro, quando la capitalizzazione di borsa della banca era inferiore ai 350 milioni al momento dell’annuncio.

Da qual momento, complici i timori legati alle difficoltà di “execution” (ossia la possibilità che nonostante gli sforzi non si riescano a raccogliere tutti i capitali necessari), il titolo è crollato da 2,92 a 0,86 euro (-70,5%) e la capitalizzazione si è ridotta a poco più di 95 milioni, meno di un settimo dei soldi che si dovrebbero trovare. E’ poi toccato ad Astaldi, che ha annunciato sempre il 7 novembre, a mercati chiusi, di aver dovuto svalutare per 230 milioni euro l’esposizione complessiva nei confronti del Venezuela (che così si riduce a 203 milioni netti) e di aver deciso di aumentare il capitale di 200 milioni ed emettere strumenti ibridi equity/debito per ulteriori 200 milioni di euro circa.

carigeCarige
 

Risultato: il titolo è passato da 5,675 euro della chiusura del 7 novembre agli attuali 2,04 euro (-64%), mentre la capitalizzazione è crollata da 555 a 200 milioni di euro, come dire che il rafforzamento del capitale pesa il doppio del valore che il mercato attribuisce al momento alla società di costruzioni.

Che dire poi di Banca Carige: nonostante le ripetute dichiarazioni di Malacalza (17,58% di capitale) di voler partecipare all’aumento da 560 milioni massimi da tempo annunciato (l’ex socio di Tronchetti Provera sarebbe anzi stato pronto a salire sino al 28% se fosse stato autorizzato), nonostante anche Volpi (6%) si sia impegnato a partecipare pro-quota e abbia fatto sapere di essere pronto a salire fino al 9,9% se sarà autorizzato, nonostante Aldo Spinelli (0,45%) e il Gruppo Cooperative Liguria (1,76%) abbiano aderito e che il road show paia aver riscosso un discreto interesse da parte dei grandi fondi americani e inglesi, nonostante tutto questo Paolo Fiorentino ha dovuto sudare sette camicie per convincere le banche che avevano siglato l’accordo di pre-underwriting (Credit Suisse, Deutsche Bank e Barclays) a sottoscrivere un impegno vincolante di underwriting.

(Segue...)

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